Questa mirabile opera è di particolare interesse non solo perchè appartenne a papa Pio V, che lo ebbe in dono nel 1556 per la consacrazione a vescovo, ma per essere insegna distintiva di vescovi, abati e badesse.
Derivato dall’ambiente pastorale ebraico, il bastone allude al potere, sia giuridico sia dottrinale, esercitato dai ‘pastori di anime’ sui fedeli. Ebbe numerose forme, bastoni semplici, o culminanti in un pomo, in una croce, o con terminazione a ‘tau’, mentre la versione ‘a voluta’ si stabilizza dopo il Mille, anche se esemplari con estremità ricurva sono attestati fin dal VII secolo. Con i secoli X e XI la curvatura si accentua sempre più, e il ‘riccio’ che ne risulta si arricchisce di figure simboliche; del resto è forte il simbolismo della forma del pastorale: la voluta con cui prendere, trattenere, o riprendere il fedele, e la punta inferiore per spingere, stimolare. La struttura si fa più articolata, con un nodo di presa, forme architettoniche con statue di santi; spesso il fusto e scomponibile per un agevole trasporto. Si va dal legno ai materiali raffinati, metalli preziosi, e avorio, e decori sempre più sontuosi.
È il caso di questo pastorale, donato da Pio V al vescovo di Fano Francesco Rusticucci, di nobile famiglia locale, il 31 gennaio 1567 ≪per ringraziarlo della soddisfazione che aveva avuto dei servizi prestati≫ quando era stato suo segretario. L’opera è interamente in avorio, ad eccezione del giglio in argento che l’arcangelo Gabriele offre alla Madonna nell’Annunciazione contenuta nel riccio, dove l’ambientazione rinascimentale richiama la scena di una tavoletta di Leonardo oggi al Louvre. Nel nodo, un’architettura con i quattro evangelisti rimanda alle nicchie di Orsanmichele a Firenze per le statue di San Giorgio e San Ludovico di Tolosa di Donatello, e le stesse figure fanno pensare ai Quattro santi coronati di Nanni di Banco nella stessa chiesa. Rubato alla metà del Seicento, poi recuperato, il pastorale fu modificato alla fine del Settecento dal vescovo Antonio Gabriele Severoli, con lamine d’argento (su cui sono incise le iniziali del nome di battesimo del vescovo ≪A G≫, la lettera ≪R(estauro)≫ e la data ≪1797≫) per riconsolidare il riccio e furono resi fissi i rocchi svitabili dell’asta. Dall’oggetto promana il senso di una vocazione, la grandezza di un ministero che porta agli uomini le parole del vangelo (gli evangelisti del nodo) per ricordare (il riccio con l’Annunciazione) la venuta del Dio che salva e redime.
Il restauro non è consistito – ne d’altro canto avrebbe potuto essere – in una ricostruzione, nel riportare l’opera alle condizioni originali, quand’anche cio tecnicamente fosse stato possibile. In quest’ottica, per esempio, le parti mancanti delle decorazioni non sono state ricostruite a eccezione dei casi, minimi, in cui avevano un chiaro compito funzionale e di sostegno, e dell’ala sinistra dell’angelo, la cui mancanza rendeva la scena disarmonica. Le modifiche quindi effettuate in precedenti interventi, che pero testimoniano gli stessi, sono state lasciate. La filosofia del restauro è dunque consistita in interventi reversibili, rispettosi della storia dell’opera, che hanno già permesso un approfondimento delle tecniche costruttive di tale tipologia di oggetti liturgici, e ora, a operazioni concluse, permetteranno nuovi approfondimenti e analisi.
Daniele Diotallevi