Grazie alla firma in basso «Averkamp» il dipinto viene inizialmente accostato, con qualche riserva, alla produzione del notissimo paesaggista fiammingo Hendrick Avercamp (1585-1634), inventore delle vedute invernali, ovvero al nipote Barent, autentico specialista sul tema dei “pattinatori”, a cui lo assegnano con decisione i compilatori del repertorio dei dipinti fiamminghi nelle collezioni pubbliche italiane, trovando particolari possibilità di confronto, sia per le singole figure sia per alcuni gruppi e il paesaggio cittadino, in un piccolo dipinto ascritto all’artista conservato nella collezione Leembruggen a L’Aia. Conferma l’attribuzione da ultimo Raffaella Colace (2006), notandone i tratti di stile più corsivi rispetto allo zio, una certa rigidità nella resa dei personaggi, pur nella ripresa di diverse invenzioni e figure che ricorrono anche nella produzione di Hendrick, e proponendone una datazione all’attività giovanile, intorno al terzo- quarto decennio del XVII secolo.
L’artista utilizza un punto di vista molto ribassato, che consente una veduta piuttosto ampia, e anima lo spazio centrale del fiume ghiacciato e delle sue rive innevate con una varia umanità, ritratta con abilità da miniatore e un pennello sottilissimo, sia nella diversità delle sue occupazioni sia nella varietà degli abbigliamenti. Su tutto prevale però lo straordinario sfogo di cielo, che occupa quasi i due terzi del dipinto, attraversato da nuvole perlacee e acceso da tonalità rosate all’orizzonte, ottenute per velature di grande trasparenza. Prima del recente restauro la tavola presentava numerose piccole ridipinture, generalmente molto localizzate, in particolare in corrispondenza dell’asse centrale, nascoste sotto due strati di vernici e ulteriori patinature circoscritte, che avevano prodotto un generale inscurimento dei toni e tolto luminosità alla scena.