Le cosiddette ‘Paci’ architettoniche, chiamate anche osculatorium o instrumentum pacis, vennero introdotte nella liturgia medievale per sostituire il bacio e l’abbraccio di pace tra i fedeli prima della comunione: erano generalmente decorate con scene rievocative della Passione di Cristo. L’esemplare in esame è costituito da due lastre rettangolari in rame combacianti tra loro e coronate da un fastigio a forma di mezza luna: sulla fronte, una placchetta in argento lavorata a rilievo presenta una Imago Pietatis (Cristo morto nel sarcofago tra Maria e un santo vescovo), in conformità ad una iconografia penitenziale diffusa in ambito padano. Il rilievo è inscritto entro una cornice architettonica formata da due pilastrini sormontati da un architrave e poggianti su un basamento aggettante, ugualmente arricchito con eleganti decorazioni a foglie e girali d’acanto. Nella lunetta superiore la figura benedicente di Dio Padre conferma il significato salvifico della raffigurazione, richiamato del resto anche dalle iscrizioni a niello del sarcofago e dell’architrave.
Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento i maggiori centri di produzione in Italia di questo tipo di suppellettili erano concentrati tra il Veneto (Venezia, Padova, Verona), la pianura padana (Parma, Bologna, Ferrara) e la Lombardia subalpina (Brescia, Pavia). La “pace” in esame presenta tratti stilistici ancora quattrocenteschi, nella sobrietà dell’impaginazione e nella rigida impostazione delle figure. Sul piano iconografico si rilevano assonanze nordeuropee, in particolare con la pittura franco-fiamminga di area borgognona e con quella catalana di derivazione fiamminga. Da un punto di vista compositivo invece paiono evidenti i legami con Pavia e con la pratica scultorea dei decoratori della Certosa. Un gruppo di rilievi del Chiostro Piccolo della Certosa, innalzato tra il 1462 e il 1470, presenta tratti stilistici tali, soprattutto nel trattamento dei panneggi, da poter essere affiancati alla “pace” vaticana. Al contempo un confronto ancor più stringente è stato istituito con un dipinto (una Pietà), attribuibile a Vincenzo Foppa o alla sua cerchia. Bresciano, ma educatosi artisticamente a Padova, Foppa fu uno dei principali esponenti della scuola di Pavia, dove ebbe un allievo, il Bergognone, che lavorò alla decorazione della Certosa. Poiché il dipinto di Foppa è databile agli anni 1490-1500 è possibile proporre anche per la placchetta in esame una datazione analoga. Per il santo vescovo che sorregge con Maria il corpo del Cristo è stata proposta l’identificazione con sant’Agostino, vescovo d’Ippona, o con san Siro, vescovo di Pavia tra il 743 e il 758, soggetto di una pala della Certosa attribuita al Bergognone.
La struttura appariva compromessa a causa delle contusioni presenti sul contorno superiore della lunetta e sul basamento, aperto e sconnesso. Le superfici in argento, quelle in rame e in bronzo dorato erano diffusamente ossidate. Tracce di precedenti puliture, con altri elementi, si annidavano nelle zone più remote. La valva posteriore appariva ampiamente rimaneggiata. Smontato il manufatto si è proceduto allo sgrassaggio mediante un bagno di sali di Rochelle e accurati risciacqui in bagni di acqua e tensioattivi. Una pulitura generalizzata è stata effettuata con solventi chetonici. Per le zone più resistenti è stato necessario il ricorso a un’ulteriore pulitura meccanica a base di pomice in polvere. Le deformazioni strutturali dovute agli urti sono state parzialmente ricomposte mediante l’azione combinata del bisturi e dei raggi X, benché in generale si sia potuto procedere, per non causare fratture, solo ad una riequilibratura estetica.
Redazione Restituzioni