L’ostensorio è di taglio e ispirazione architettonici. La base, a forma di stella con sei lobi e sei punte, è finemente lavorata a sbalzo con fogliami in argento dorato. All’interno della base si dispone una fascia di piastre quadrilobe con smalti raffiguranti il Cristo in pietà, la Vergine e San Giovanni (perduto), alternati a un Santo vescovo (San Donato?) e a due stemmi di famiglia nobiliare. Il fusto ha al centro un nodo ad alto rilievo formato da una sequenza di edicole disposte in cerchio, con guglie e pinnacoli di profilo gotico alternati a bifore: all’interno delle edicole si allineano statuine di Santi. La custodia per l’eucarestia si compone di una teca cilindrica che si sviluppa in altezza, chiusa in alto da una calotta alla cui sommità si trovava una croce. Al centro della teca è fissata la lunetta per l’inserimento dell’ostia. L’ostensorio reca tracce di ripetute manomissioni: è possibile ipotizzare un cambiamento di destinazione o, più probabilmente, una sistemazione secondo l’originaria funzione in occasione della musealizzazione dell’oggetto.
Le caratteristiche formali dell’opera riconducono a quella corrente del Gotico internazionale che avvicina l’oreficeria all’architettura: anche qui infatti, soprattutto nel nodo al centro del fusto, si nota un prezioso gusto per la caratterizzazione architettonica elegante e decorativa. La lavorazione del piede tuttavia richiama moduli che si riscontrano nei reliquiari della Basilica del Santo a Padova, della prima metà del Quattrocento: si tratta di uno stile floreale e naturalistico tipico della miniatura padovana del tempo, ed è da collegare probabilmente agli orientamenti scientifici dello Studium patavino.
Le circostanze esatte della realizzazione dell’ostensorio non sono note, tuttavia l’iscrizione sull’elemento di raccordo tra il nodo e il sottocoppa del ricettacolo rivela che l’oggetto fu commissionato da un «Dominus Nicolaus» pievano di Murano, un’isola della laguna di Venezia. La preziosità dei materiali e la finezza della lavorazione fanno supporre che l’ostensorio fosse destinato alla collegiata dei Santi Maria e Donato, chiesa madre di Murano. L’acquisizione dell’ostensorio alle raccolte della Biblioteca Vaticana è incerta, ma da collocarsi presumibilmente agli anni di Marco Giustinian, vescovo di Murano dal 1692 al 1735. In questo periodo infatti il trasferimento a Murano della sede episcopale dovette comportare l’esborso di ingenti capitali, sostenuti in parte dalla vendita di oggetti preziosi di proprietà della chiesa.
L’ostensorio presentava un disomogeneo stato di conservazione. Piede, fusto e sottocoppa, e anche il nodo in rame e argento, evidenziavano un forte grado di ossidazione, con l’aggiunta dell’accumulo di depositi incoerenti; diversi elementi, tra cui le statuine all’interno del nodo e i medaglioni di smalto alla base del fusto, ponevano forti problemi di stabilità. Dopo lo smontaggio dei singoli elementi, le parti in rame sono state sgrassate con impacchi di sali di Rochelle alternati a impacchi di acetone e diluente nitro, quelle in argento hanno subito un’immersione in sali di Rochelle e in soluzione Tween 20, seguita da trattamento con diluente nitro dato a tampone. La pulizia della doratura è stata fatta con impacchi di solventi chetonici, mentre le placchette in argento sono state trattate con bicarbonato di sodio e acqua. Le statuine del nodo sono state pulite meccanicamente con bicarbonato e acetone; dopo la pulitura tutte le componenti sono state protette con vernice nitrocellulosa al 5%. L’intervento di restauro ha potuto verificare la tecnica esecutiva e le vicende conservative, confermando le manomissioni e le incongruenze con la destinazione attuale (non esiste ad esempio uno sportellino per il prelievo dell’ostia).
Redazione Restituzioni