Il reliquiario, in argento, è costituito da diverse parti: da una base quadrata con quattro tondi sporgenti ai lati, sorretta da zampe di leone; da un nodo di forma architettonica, con una base cubica su cui si alzano quattro edicole (su quelle anteriori compaiono due figure smaltate di profeti); dalla croce che poggia sull’alto fusto e su una base da cui si estendono due bracci sorreggenti le statuette della Vergine e di san Giovanni. Le lamine della croce, con la statuetta di Cristo crocifisso al centro, sono riccamente ornata da uccelli (forse pellicani), foglie, rosette; le placchette smaltate alle estremità rappresentano san Michele arcangelo, la Vergine, san Giovanni e l’Agnello. Ai piedi di Cristo, entro una concavità a forma di croce, è custodita la reliquia, un frammento del legno della Santa Croce. Sul retro della croce la decorazione è analoga, mentre le placchette mostrano al centro Cristo passo e ai lati i quattro evangelisti con i rispettivi simboli (san Giovanni e l’aquila, San Marco e il leone, San Luca e il toro, San Matteo e l’angelo).
La preziosa oreficeria è opera di ambito senese del primo Trecento. Entrò nel tesoro della cattedrale padovana nel 1339, donata da Ildebrandino Conti, vescovo di Padova. Essa fu probabilmente commissionata da Giovanni Poli, parente di Ildebrandino e vescovo di Pisa tra il 1299 e il 1312, a una data ante 1312. Si riconoscono momenti diversi di realizzazione e l’attività di più maestri. Gli smalti delle placchette (dai modi gotici, con un accentuato calligrafismo nei profili dei volti, nel morbidissimo panneggio delle vesti, nelle mani allungate) sono attribuibili all’orefice Giusto da Mannaia e collaboratori, attivo a Siena tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. Le figure a tutto tondo (con modi più modulati nella fusione del chiaroscuro, cosicché le pieghe modellano la forma del corpo senza annullarla) rimandano invece allo scultore senese Goro di Gregorio, pure attivo nel primo Trecento. Quanto al supporto, per tipologia architettonica e per esecuzione delle figure dei profeti, rinvia a un orafo di cultura gotica, che lo realizzò ante 1339.
L’opera si presentava alterata da depositi di polvere, di sporco generico e di sostanze grasse, e dall’ossidazione del metallo. Per la pulitura della croce – non smontabile –, eseguita cercando di non compromettere ulteriormente gli smalti già frammentati, si sono impiegati piccoli batuffoli di cotone idrofilo imbevuti in solventi (acetone e trielina). La base è stata smontata nei vari pezzi che la compongono. Dopo lo sgrassaggio con diluente nitro e immersione in acqua, la pulitura è stata condotta con bicarbonato di sodio e con lavaggi in acqua demineralizzata seguiti da disidratazione forzata. Dove si sono riscontrate tracce di ossidazione verde, si sono effettuati bagni con sali di Seignette. Le superfici sono state infine protette con vernice antiossidante.
Redazione Restituzioni