Il mosaico costituiva il rivestimento pavimentale dell’atrio di un’importante domus rinvenuta durante gli scavi condotti nel 1993-1994 a Ravenna in via D’Azeglio.
Si tratta di un tappeto musivo in tessere calcaree bianche a orditura diagonale, punteggiato di crocette in tessere nere e di quadratini lobati neri con centro bianco. L’emblema centrale quadrangolare figurato e listato da una cornice continua nera con bordo a dentelli rovesciati. Il disco centrale policromo e racchiuso da una ricca fascia formata da una treccia semplice a doppio capo e una greca prospettica, completato da un bordo a dentelli inversi. Gli angoli di risulta dall’iscrizione del cerchio nel riquadro sono arricchiti da un semplice ed elegante motivo vegetale a volute in tessere nere, lo spazio bordato da una cornice di tessere nere.
Nell’emblema, realizzato con tessere policrome e polimateriche di piccolissime dimensioni, sono rappresentate due figure maschili nude, quella a sinistra stante (se ne conservano le gambe, il bacino e il braccio sinistro proteso), quella a destra accosciata, con la gamba destra distesa in avanti, quella sinistra ripiegata, il busto frontale (manca della parte superiore del corpo, testa compresa, e del braccio destro); il braccio sinistro proteso verso il basso mostra la mano calzata dal caestus (s’intravede anche quello destro). Con tutta evidenza la scena raffigura la fine di un combattimento tra due pugili. Un ulteriore elemento figurato e rappresentato da un recipiente in metallo, collocato a terra alla sinistra della figura stante. In alto a destra restano tre lettere ≪ ] CVS≫, a identificare il pugile atterrato. L’emblema del mosaico e realizzato con tecnica definita opus vermiculatum, dove i differenti materiali delle tessere (pietre calcaree, marmi, cotto, pasta vitrea) unitamente a un’elevatissima abilita tecnica sono riusciti a rendere la raffigurazione in modo quasi pittorico, con passaggi di tono e chiaroscuri che hanno saputo anche ricreare, nonostante l’uniformita del fondo bianco, la dimensione spaziale in cui si svolge la scena.
L’attuale restauro ha permesso di ricomporre il tappeto musivo dell’intero atrio, consentendo quindi di reinserire l’emblema nel raffinato tappeto bicromo che il proprietario aveva commissionato a maestranze di alta capacita tecnica e dotate di un bagaglio di soggetti e prototipi iconografici veramente raffinati e maturati in un ambiente artistico di stampo squisitamente ellenistico. Ricostruendo cosi nella sua interezza il pavimento è possibile apprezzare l’equilibrio della composizione generale della decorazione del vano principale di questa domus. Infine, risalta con evidenza la raffinatezza che sottende anche il disegno semplice e lineare del tappeto lapideo, che, a Ravenna, ha confronti solo con il tappeto bianco a crocette quiconce nere, meno sofisticato, rinvenuto nei livelli sottostanti alle pavimentazioni del cosiddetto portico A del palazzo di Teodorico e databile alla tarda età repubblicana.
Valentina Manzelli