Dopo il periodo di ricchezza dell’età imperiale e la crisi del III-IV secolo, la città di Faenza vede un rinnovamento del proprio apparato edilizio tra il V e il VI secolo, in corrispondenza con l’elezione di Ravenna a capitale imperiale.
I funzionari della corte, presenti nelle città intorno alla sede imperiale, si insediano in domus precedenti o edificate ex novo, rinnovandone l’apparato strutturale e decorativo con l’utilizzo di materiali locali e, talvolta, con l’inserimento di preziosi materiali orientali.
In questo quadro si inserisce l’edificio individuato in via Dogana nel 1971-1972, di cui sono stati scavati diversi ambienti connessi alla zona di rappresentanza della casa, tutti caratterizzati da ricchi ed elaborati pavimenti a mosaico, con decorazioni policrome geometriche o figurate.
Il più interessante tra questi è certamente il vestibolo, che presenta pavimentazione figurata con diversi soggetti.
All’interno di un ambiente rettangolare, il pavimento era originariamente costituito da venti quadrati minori, circondanti uno centrale di dimensioni maggiori.
Nei sedici riquadri conservati sono raffigurati una figura femminile seduta su un delfino, tre figure femminili stanti e una seduta su un trono, quattro uomini adulti e cinque soldati, ma il pannello di maggior interesse risulta quello centrale.
Al centro è un giovane ignudo seduto su un seggio con ai lati due soldati: ai suoi piedi sono una corazza e due scudi sovrapposti.
A destra del personaggio centrale è raffigurato un personaggio femminile e a sinistra una figura di vecchio stante, appoggiato a un bastone, con abiti di tipo orientale caratterizzati da una notevole policromia, in contrasto con gli altri personaggi.
La scena, inizialmente interpretata come apoteosi imperiale, al momento sembra più probabilmente riferibile al mito di Achille, molto in voga a partire dal III secolo.
Il personaggio femminile può essere interpretato come Briseide, mentre il vecchio può essere identificato come il re Priamo, venuto a richiedere il corpo del morto Ettore; la Nereide sul delfino rappresenterebbe Teti, la madre dell’eroe.
Il tema figurativo, noto tra le élite del tempo, lascia supporre che il proprietario fosse un uomo di cultura classica, appartenente alla classe dei funzionari della corte imperiale, e che il mosaico si possa datare entro la metà del V secolo. Il restauro effettuato ha consentito il raggiungimento di diversi obiettivi. Innanzitutto la possibilità di leggere il pavimento musivo nella sua interezza, ripristinando posizioni e rapporti tra le scene figurate rappresentate. Oltre a ciò, la restituzione dello schema compositivo attraverso un intervento dettagliato ha permesso la puntuale individuazione e comprensione dei materiali costitutivi e delle tecniche esecutive del mosaico. In ultimo, la rimozione dei prodotti precedentemente applicati sulle superfici ha riportato alla luce le cromie originali delle tessere. Il risultato finale è stato la restituzione della lettura completa dell’apparato iconografico nella sua configurazione originale, finalizzata alla valorizzazione e fruizione di un importantissimo reperto archeologico della città di Faenza.