L’arrivo a Sant’Angelo in Vado delle due reliquie ‘per contatto’ di sant’Ubaldo si lega tradizionalmente ai festeggiamenti nei territori del ducato di Urbino conseguenti alla nascita, il 16 maggio del 1605, di Federico Ubaldo della Rovere, il desiderato erede della dinastia roveresca.
Nel 1610 la comunità di Sant’Angelo in Vado deliberò la ristrutturazione della chiesa dell’Immacolata Concezione dotandola di un altare dedicato a Sant’Ubaldo, corredato nel 1614 da una pala raffigurante il piccolo Federico Ubaldo presentato alla Vergine dai santi Giovanni Battista, Michele arcangelo e Ubaldo, firmata da Giovan Giacomo Pandolfi. È pertanto probabile che i due pii cimeli ubaldini siano pervenuti a Sant’Angelo in Vado in occasione dell’erezione dell’altare dedicato al santo e che rappresentino un dono della comunità eugubina a quella vadese. L’esame stilistico e tecnico della mitra e della chiroteca, reso possibile in occasione del restauro qui presentato, consente di affermare che le due insegne episcopali sono cronologicamente lontane dal tempo di sant’Ubaldo, vescovo di Gubbio dal 1129 al 1160. Probabilmente i due manufatti furono messi a contatto con il corpo del santo in occasione di una delle periodiche ricognizioni dei suoi resti mortali, divenendone cosi reliquie ‘per contatto’.
La mitra in questione presenta i caratteri morfologici tipici di questo genere di copricapo, adottato dalla Chiesa latina a partire dal XII secolo come insegna liturgica del vescovo. Essa è composta di due parti cuspidate uguali, rivestite di damasco di seta bianca, rese rigide da una infustitura interna, cucite sui lati e aperte nella parte superiore. Sulla parte posteriore sono fissate due strisce, chiamate infule, dello stesso tessuto di damasco di seta bianca, rifinite in basso con frange color porpora. Due sono gli elementi che consentono con ragionevole sicurezza di datare la mitra di Sant’Angelo in Vado alla fine del Quattrocento. Il primo è costituito dal motivo decorativo damascato sui due scudi, anteriore e posteriore, e sulle infule: si tratta di un elaborato motivo ‘a melagrana’, che definisce nella terminologia corrente le forme simili alla melagrana, alla pigna, alla palmetta o al fiore di loto o di cardo. Questo è uno dei motivi decorativi fondamentali che, con varianti innumerevoli, si ripete nella produzione tessile italiana per tutto il Quattrocento. Il secondo elemento utile per la datazione della mitra e emerso nel corso del restauro, quando si è accertato che per l’infustitura interna delle due cuspidi sono stati utilizzati fogli di carta stampata. Questi, a un’attenta analisi del testo e dei caratteri tipografici, risultano derivare da un incunabolo, probabilmente edito a Venezia negli anni Ottanta del Quattrocento, delle Decretali di Gregorio IX, un diffusissimo testo di diritto canonico.
È piu incerta la datazione della chiroteca singola in pelle bianca che costituisce l’altra reliquia ‘per contatto’ di sant’Ubaldo. Le chiroteche o guanti nella liturgia sono divenute parte importante dei paramenti sacri almeno dal X secolo. Il guanto in questione è in pelle bianca dall’effetto scamosciato; il dorso è impreziosito da un ricamo ottenuto con fili di metallo dorato e di seta rossa, costituito dal monogramma cristologico, inscritto in un cerchio e seguito da raggi serpentini stilizzati. Sul palmo è ricamata una crocetta d’oro profilata di rosso. Completa la decorazione del guanto un motivo fitomorfo ricamato con fili di seta rossa lungo il bordo di rifinitura del polso. Quanto alla datazione di questo guanto credo si possa circoscrivere al Quattrocento. È nel corso di questo secolo che il ‘simbolo bernardiniano’, vale a dire il monogramma cristologico, conosce una grande devozione e un’immensa fortuna, dopo essere stato approvato da papa Eugenio IV nel 1432.
Gabriele Barucca