Grazie al lascito di Emilio e Maria Jesi la Pinacoteca di Brera acquisisce nel 1976 i tre capolavori metafisici di Carlo Carrà, realizzati nel 1917 nell’ospedale militare di Villa del Seminario a Ferrara, in quotidiano prolifico confronto con Giorgio de Chirico: La musa metafisica, La camera incantata e Madre e figlio. Precedentemente appartenuto a Emilio Piccoli il dipinto viene venduto agli Jesi dalla Galleria Barbaroux di Milano prima del 1942, anno in cui entra a Brera per la prima volta in prestito alla monografica curata da Guglielmo Pacchioni.
Composizione fitta e rigidamente organizzata di oggetti quotidiani, tradotti dall’artista in chiave esplicitamente metafisica, l’opera conferma in primo piano l’elemento tipico della stagione ferrarese: il manichino, riproposto nella doppia personificazione familiare del figlio, in abiti da marinaretto, e della madre, inquietante busto sartoriale di memoria futurista.
Le indagini diagnostiche eseguite dal Laboratorio interno della Pinacoteca (RX e IRR Osiris) e i risultati del restauro svelano tracce e disegni di una versione precedente, in cui comparivano il manichino di destra isolato, diversi elementi rettangolari e circolari al centro e pesi cilindrici al suolo; fra la prima stesura e la definitiva, la riflettografia infrarossa mostra più nitidamente altri elementi successivamente cancellati: la prospettiva approfondita della stanza, geometrizzata in solidi cubi digradanti, il triangolo sghembo e la base rettangolare del metro tracciati sul pavimento, il parallelepipedo in basso a sinistra e soprattutto una precedente firma, ≪C. Carra 917≫, simile alla finale, ma spostata a destra e con la data sotto al nome. Modifiche, aggiunte ed espunzioni che attestano la lenta e meditata elaborazione dell’opera e la ricerca di Carrà sui rapporti fra gli oggetti, sulle proporzioni spaziali, sulla purezza delle forme, all’insegna di un nuovo classicismo fatto di essenza e armonia. Le rielaborazioni del dipinto trovano riscontro nel corso del restauro, condotto su una materia pittorica estremamente stratificata e corposa, e connessa a un supporto radicalmente e traumaticamente trasformato da un intervento di trasporto, eseguito probabilmente quando l’opera era in collezione privata.
Marina Gargiulo