L’immagine è di grande impatto emotivo, per quanto statica e monumentale. Una Vergine molto solida, assestata su un seggio marmoreo coperto da un drappo rosso, conferisce con solennità una palma ad Ambrogio. Il santo è inginocchiato a sinistra, ripreso di profilo, in pendant con Michele Arcangelo, sulla destra, che affida l’anima (“animula”) del committente al Bambino, posto sul grembo della Vergine e pronto ad accoglierla con le braccia aperte.
L’Immagine è costruita su un sistema di equilibrio e simmetria: ogni figura trova corrispondenza in un’altra, come in un gioco di specchi. Ecco allora i due angeli dietro il seggio, complementari come le due torri alle loro spalle; la trama gestuale della Vergine che offre e del Bambino che riceve; i due simboli del male, ripresi di scorcio, alla base del dipinto: l’uomo morto sotto Ambrogio, identificato con il grande eresiarca Ario, idealmente sconfitto dalla fede del santo, e l’orribile rospo posto sotto Michele, immagine del male assoluto: il demonio.
Dal punto di vista contenutistico il dipinto comunica una forte presa di posizione contro il timore dell’eresia. La totale evidenza della sconfitta del male per mezzo della fede non lascia dubbi in proposito. Non solo: l’immagine propone, proprio come in un manuale di orazione mentale, l’incondizionato affidamento dell’anima a Cristo. Il Bambino, infatti, ostenta la zona pubica, proprio per sottolineare la sua reale umanità e dunque la sua reale sofferenza al momento della Passione.
L’attribuzione dell’opera a Bramantino è antica (Torre, 1714) e mai posta in discussione. La cronologia, invece, è materia di dibattito, coprendo l’arco temporale dei primi due decenni del Cinquecento. Sulla base di un confronto stilistico con gli arazzi Trivulzio, sembra tuttavia auspicabile la retrodatazione dell’opera ai primissimi anni del XVI secolo.
Un restauro effettuato nel 1956 aveva fornito importanti considerazioni tecniche. Smontata la cornice di primissimo Novecento che divideva l’opera a trittico, furono notate due strisce marroni sovrapposte agli angeli, frutto di un’aggiunta settecentesca. Fu così ipotizzato che l’opera fosse stata effettivamente concepita su tre tavole separate e completata dallo stesso autore come pala unica in un secondo momento. Con l’ultimo intervento questa tesi è stata messa in discussione, in favore dell’idea di un concepimento unitario dell’opera, confermato dalla continuità che lega le diverse parti dell’immagine. Immagine che è ora più correttamente leggibile, grazie alla rimozione di vernici ingiallite e ossidazioni e grazie anche all’emergere di nuovi elementi relativi al disegno sottostante, segnato da significativi pentimenti.
Redazione Restituzioni