Sullo sfondo di un prezioso tendaggio decorato con intrecci dorati, la Vergine siede su un alto trono e regge sulle ginocchia il Bambino. La fiancheggiano, a sinistra, i santi Giacomo Maggiore con il bordone del pellegrino e Simone seduto sul basamento marmoreo del trono; a destra, san Francesco, che ostenta la stimmate del costato e san Bonaventura, con le vesti cardinalizie, anch’egli seduto sul basamento.
Luca Signorelli, in realtà, aveva concepito questo dipinto come parte centrale di un più ampio polittico. L’opera comprendeva infatti uno scomparto inferiore con le Storie della Vergine (predella) e uno scomparto superiore (cimasa) identificato con la lunetta dell’Incoronazione della Vergine, Dio Padre e due angeli musicanti del Museum of Art di San Diego.
Nonostante non sia possibile apprezzare l’opera nella sua integrità, ci è comunque ancora consentito coglierne la solidità dell’impaginazione, la ferrea simmetria e il potenziale emotivo, armonizzati efficacemente con la funzione devozionale dell’opera.
L’iscrizione posta sul gradino del trono chiarisce due dati fondamentali per la contestualizzazione storica dell’opera: la data d’esecuzione (1508) e il committente, tale Giacomo di Simone Filippini in accordo con Bernardino Vignato, guardiano procuratore dei Frati Minori della chiesa di San Francesco ad Arcevia, nelle Marche.
L’opera, in effetti, costituisce il frutto di una proficua relazione fra l’artista e le più importanti istituzioni religiose della città, dove si era trattenuto fra 1507 e 1508.
Nel Settecento il polittico fu smembrato: la tavola centrale rimase alla chiesa e le altre parti furono consegnate agli eredi della famiglia Filippini per finire poi nel mercato antiquariale. Diversa invece la sorte della tavola centrale che, con le soppressioni napoleoniche, giunse nel 1811 nella Pinacoteca di Brera, dove attualmente si trova e da cui era stata spostata tra il 1815 e il 1892, per essere affidata al deposito della chiesa di Figino nel Comune di Trenno, presso Milano.
La storia conservativa dell’opera è piuttosto complessa: in seguito allo smembramento settecentesco la tavola subì un pesante intervento di ridipintura, che vide la sostituzione della spalliera ornamentale dello sfondo con una monumentale struttura ad arco. In questa occasione vennero occultati il coronamento del trono, decorato con un cherubino, e il cartellino con la firma dell’artista, coperto dalla testa della Vergine arbitrariamente ingigantita. Altre modifiche furono attuate durante un secondo intervento del 1843, quando il dipinto subì una pesante patinatura.
L’intervento attuale si è dunque concentrato sulla superficie pittorica, e in particolare sulla rimozione dei residui di pittura settecentesca, presenti in particolare nell’area del tendaggio e ai lati del trono e della patinatura bruna di origine ottocentesca ormai alterata. Il restauro, calibrato e differenziato nella sequenza e nelle diverse zone, ha consentito il recupero di una visione d’insieme del dipinto, mettendone in luce e valorizzandone rapporti cromatici e dettagli prima completamente celati.
Redazione Restituzioni