Nel panorama della scultura lignea italiana la Madonna di Castelli merita senz’altro una collocazione di rilievo, perché evidenzia al meglio l’alta perizia tecnica e la capacità espressiva delle maestranze attive nel Medioevo in una regione montuosa e irrigua, ammantata di boschi quale l’Abruzzo, all’epoca attraversata da grandi flussi di persone, non soltanto dai pastori alla guida di enormi greggi transumanti ma soprattutto da migliaia di militari e pellegrini in transito dal Nord Europa verso la Terrasanta. Stanziali e impegnati in un quotidiano segnato dall’ascesi e dalla meditazione, e anche da un’intensa attività fabbrile, erano viceversa gli ordini monastici; nei due secoli successivi al Mille molto potenti furono soprattutto i cistercensi e i benedettini. In seguito i francescani furono favoriti dallo stretto rapporto con la sovranità angioina. Va ricondotta alla cultura e all’economia del monachesimo medievale anche questa straordinaria Madonna in trono con il Bambino, appartenuta all’abbazia benedettina di San Salvatore presso Castelli, importante centro ben noto per la produzione ceramica situato all’ombra del Gran Sasso.
È un’opera dove la salda volumetria restituisce forma a una fanciulla gentile e sorridente, la quale appare come ancorata alla terra dagli zoccoli da contadina e dall’abito che cade a campana. Si trasforma tuttavia dalla vita in su, là dove trova riparo il Bambin Gesù rivestito dal pallio e dalle vesti auliche di un imperatore romano, caratterizzati da eleganti panneggi gradienti. Anche la madre sprigiona fascino e autorevolezza assieme, e non solo per la pesante corona che le grava sul capo, un tempo come l’altra impreziosita da pietre nei castoni ora desolatamente vuoti. Elemento notevole della scultura, nata forse con funzione di reliquiario, è soprattutto la capigliatura di Maria con le trecce lunghissime, annodate e avvolte intorno al capo, che formano almeno quattro giri. L’eccellente esito del recente restauro ha notevolmente migliorato non solo la stabilita della materia ma anche la leggibilita complessiva della scultura. Attraverso un accurato esame dell’inclinazione dei due elementi di cui si compone, la Madonna e il Bambino, intagliati in blocchi distinti, e anche grazie all’autorevole parere del professor Giorgio Bonsanti e ai rilievi realizzati da Salvatore De Stefano, si e pervenuti alla decisione di rimuovere la tavoletta ancorata alle ginocchia della Vergine Maria, cui potrebbe riconoscersi la funzione di cuscino. Il condizionale e d’obbligo perche in realta si trattava di un elemento spurio aggiunto in tempi abbastanza recenti, con ogni probabilita in occasione della realizzazione del trono di legno moderno sul quale era collocata la scultura, reclusa in una gabbia dentro la chiesa. Lo evidenziava il tipo di essenza, un legno di pioppo che si presentava molto degradato. Ben piu modesto rispetto al pregiato noce con il quale risultano intagliate le parti originali, tale strato s’avvantaggiava di una tecnica di fissaggio, con tasselli e colle, che sicuramente si puo far risalire al pieno Novecento. L’aver recuperato quei pochi centimetri ha migliorato in maniera significativa il rapporto dimensionale tra Madre e Figlio, evitando che la corona sulla testa del Bambino precludesse del tutto la visuale del collo della Madonna e della camiciola plissettata che emerge sotto la veste rossa con le ampie maniche a tromba. L’eccellenza di questo capolavoro poco noto appare oggi confortata dalla conoscenza dei pregiati e costosi pigmenti utilizzati per la decorazione pittorica, l’orpimento e le lacche, ottenuta grazie agli esami diagnostici. Anzi, in conclusione, alla luce anche della valutazione delle vicende storiche di cui e stata teatro l’abbazia di San Salvatore, potrebbe essere addirittura proposta una datazione ancora più arretrata rispetto a quella finora accreditata (verso il 1180). Per più motivi appare plausibile datare piuttosto tra il secondo e il terzo decennio del XII secolo, ossia in anni prossimi a quelli della prima documentata fioritura dell’intaglio ligneo in Abruzzo, attestata da alcune ben note testimonianze, quali le due straordinarie porte oggi esposte nel Museo dell’Arte Sacra del Castello di Celano. L’una proviene da Santa Maria in Cellis, una dipendenza cassinese prossima a Carsoli, ed è datata 1132, l’altra egualmente relazionata con l’entourage benedettino, richiudeva in origine la chiesa di San Pietro di Alba Fucens e la potrebbe addirittura precedere di qualche anno. Un’ulteriore precedente illustre è rappresentato dalla rara iconostasi lignea della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta presso Rosciolo, appartenuta ad un complesso donato dai conti dei Marsi a Montecassino già nella seconda metà del XI secolo.
La fase in cui si inseriscono queste committenze artistiche di rilievo coincide peraltro con il pontificato di Pasquale II, negli stessi anni in cui l’agiografia accredita, come viventi e in auge, ben due santi abruzzesi con lo stesso nome, Berardo, monaci benedettini e poi vescovi. Entrambi appartenenti a nobili famiglie di dignita comitale ed egualmente legati alla devozione mariana, furono impegnati per riportare pace e concordia tra le fazioni che dividevano le comunita, dedicandosi a una profonda riforma del clero. Di san Berardo vescovo di Teramo si narra che fu colpito dalla vita ascetica dei benedettini che vivevano nel monastero di San Salvatore in Castelli, nei pressi di Pagliara, che si monaco e fu ordinato sacerdote nell’abbazia di Montecassino, trasferendosi poi nel monastero benedettino di San Giovanni in Venere, dove era stato abate Oderisio I, suo parente. Nei sei anni di episcopato, dal 1116 al 1122, firmo sei atti giuridici, inseriti nel Cartulario della Chiesa teramana. Di rilievo sono una compravendita del 1116 effettuata dal fratello conte Rainaldo, e l’atto del 1122 con il quale Berardo dona ai canonici della cattedrale la chiesa di Santa Maria a Mare con tutti i suoi beni a eccezione della meta delle offerte da destinare al suffragio dei defunti, elargendo inoltre all’ospizio di San Flaviano a beneficio dei poveri. Sepolto a Teramo nella Cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, venne santificato a ragione dei molti miracoli compiuti, soprattutto come taumaturgo. Anche nella vita di San Berardo dei Marsi, nato dal conte Berardo e da Teodosia nel 1079 a Colli di Monte Bove nei pressi di Carsoli, non mancano espliciti rapporti con la medesima fase gloriosa della comunita benedettina, al tempo del pontificato di Pasquale II. Berardo dei Marsi soggiorno a Montecassino tra il 1099 e il 1102 e ottenne prestigiose cariche ecclesiali dal papa: l’ordinazione prima a sub diacono, il titolo di governatore della provincia di ‘Campagna’, la dignita cardinalizia a Roma, e infine nel 1109 la nomina a vescovo dei Marsi. Si fa risalire la scomparsa di questo nobile santo abruzzese, imparentato con il celebre Leone Ostiense autore del Chronicon cassinese, al 1130. Naturalmente e questa una ipotesi di ricerca che dovra essere ulteriormente approfondita; occorre però sottolineare che un’anticipazione di un mezzo secolo rispetto alla cronologia finora proposta non inficia quanto sottolineato dalla critica, anzi rafforza i rapporti di questa rara scultura con analoghe esperienze d’oltralpe. Accanto alle affinità di stile con i prestigiosi rilievi del Portale dei Re della Cattedrale di Chartres già evidenziate da Ferdinando Bologna, andrebbero verificate le relazioni con l’Auverge, la storica regione nel cuore della Francia dove egualmente si assiste a un’eccezionale fioritura artistica nel settore dell’intaglio delle sculture lignee, proprio nella prima metà del XII secolo.
Lucia Arbace