Il dipinto si configura quale pregevole testimonianza dell’arredo dell’antica Chiesa Parrocchiale di Mezzane dedicata a S. Maria. La pala intende celebrare Raimondo Della Torre, di recente creato Conte di Fagnano, e la sua progenie. La famiglia è in effetti ritratta in basso, di profilo: il conte Raimondo, la moglie Beatrice Pellegrini, l’erede testamentario Giovanni Battista, la figlia Caterina. A sottolineare la peculiare immagine dei Della Torre effigiati nella pala di Mezzane e il loro legame con il mondo della cultura, in particolare veronese, contribuisce anche l’iconografia del dipinto. Ai piedi della Vergine col Bambino, assisa su un trono reso con metafisica geometria, sono raffigurati i Santi che simboleggiano l’aspetto colto della tradizione cristiana. Il dipinto fu eseguito dopo il 1537, anno in cui fu redatto il testamento che nominava Giovanni Battista erede universale, e probabilmente a commemorazione del titolo comitale acquisito da Raimondo nel 1539.
L’opera rinvia ad un autore di indubbia rilevanza, non solo per l’alta qualità intrinseca del dipinto, ma anche per il prestigio del committente e l’importanza dell’opera che ne deve tramandare ai posteri l’immagine. Scartata, già da Crowe-Cavalcaselle, una iniziale attribuzione a Girolamo Dai Libri, nel corso del primo Novecento la critica si divide attribuendo la paternità del dipinto ora a Giovanni Caroto ora al fratello più noto Giovan Francesco. L’intervento di restauro non ha fatto affiorare alcuna firma ma ha fatto emergere, nonostante il dipinto fosse molto compromesso, la maestria dell’autore. Rapportando l’opera alla produzione coeva dei due fratelli Caroto e tenendo d’occhio la probabile data di esecuzione, è possibile attribuire il dipinto a Giovan Francesco. Ulteriori conferme vengono non solo dalla testimonianza di Vasari il quale ricorda che Giovan Francesco “ritrasse di pittura il Conte Raimondo Della Torre”, ma soprattutto dal confronto con altre opere dello stesso artista. La ricchezza dei dettagli ad esempio, o la luce che si posa uniformemente sugli incarnati fino a far assumere ai personaggi la preziosità di un cammeo, sembrano richiamare l’abilità di Giovan Francesco nell’eseguire ritratti su medaglia. Evidenti richiami stilistici è possibile inoltre istituire tra questo dipinto e la pala del Duomo di Trento, firmata dallo stesso Giovan Francesco.
Le condizioni del dipinto, anche per quel che riguardava il film pittorico, non erano affatto buone. Uno spesso strato di vernici ingiallite e di polvere offuscavano il ductus. Varie in questo senso le ridipinture. Data la complessità e la disomogeneità dello stato di conservazione del dipinto, l’intervento è stato mirato al risanamento capillare e puntuale di ogni singola problematica. Una serie di radiografie ha permesso di individuare lo stato di degrado del manto della Vergine e delle fronde degli alberi soprastanti. Con colla di coniglio sono stati risolti piccoli sollevamenti di colore del vestito del conte, mentre con l’ausilio della spatola calda si è proceduto ad una pulitura differenziata metodologicamente a seconda della situazione presente sul dipinto. Il restauro precedente sul manto della Vergine è stato mantenuto poiché la situazione di degrado sottostante aveva ormai compromesso ogni possibile recupero. Piccole lacune sono state stuccate a gesso e colla di coniglio. Le integrazioni sono state fatte con colori ad acquerello e vernice. L’intervento si è concluso con una verniciatura finale nebulizzata.
Redazione Restituzioni