Le tavole, facenti parte di un complesso originariamente più ampio, riproducono due iconografie molto diffuse nella cultura figurativa cristiana: la Madonna della Misericordia e la Vergine Annunciata. La prima − una rappresentazione di matrice orientale giunta in Italia verso la fine del Trecento – è connotata da un’impostazione piuttosto rigida e ieratica, nel solco della tradizione bizantina: la Vergine, in piedi e frontale, indossa una veste rosso vermiglio damascata e solleva il manto blu per accogliere i fedeli inginocchiati ai suoi piedi e vestiti con un saio bianco, identificabili come gli appartenenti a una confraternita e dunque come i presunti committenti. A livello del petto della Madre è la mandorla con il Bambino, seduto e benedicente. Ai lati del viso, appoggiati su una vaporosa nuvoletta, compaiono due piccoli angeli in preghiera, che si stagliano sul fondo azzurro del cielo: unico elemento che pare staccarsi dalla tradizione medievale dello sfondo dorato.
La tavola con l’Annunciata fa invece riferimento, in modo più diretto, alla tradizione rinascimentale: la scena infatti è ambientata all’interno di un’architettura classicheggiante che si apre sul cielo blu e sul profilo delle montagne, con chiara allusione alla simbologia mariana.
La Vergine è anche qui protagonista, inginocchiata sullo scrittoio, pronta ad accettare la volontà divina.
La provenienza delle due tavole, depositate (non prima del 1717) nell’Isola di San Lazzaro a Venezia, è del tutto ignota. La più antica citazione che le riguarda risale ai primi anni Trenta del Novecento, in una scheda ministeriale redatta da Moschini.
Il documento purtroppo non chiarisce la storia materiale delle due opere, ivi ricondotte ai modi di Bartolomeo Vivarini: dato che viene ribadito anche nella targhetta posta nella cornice, in basso, su entrambe le tavole. L’analisi stilistica, tuttavia, ha suggerito il nome di Matteo Cesa, assoluto protagonista del secondo Quattrocento bellunese. Alcuni dettagli fisionomici confermano questa tesi, in particolare la caratteristica rappresentazione del mento, simile a una sorta di cerchio illuminato, con al centro un punto d’ombra. Committente dell’opera, databile intorno al 1475 (come suggerisce un’iscrizione non originale ma comunque antica) potrebbe essere l’Arciconfraternita di Santa Maria dei Battuti di Belluno dove, nel 1458, l’artista rivestì la carica di sindaco.
Le due opere presentavano un cattivo stato conservativo, dovuto a pesanti interventi di restauro. Diversi punti erano infatti interessati da estese e grossolane ridipinture, diffusi sollevamenti di colore e notevoli lacune, anche recenti.
Su entrambe le tavole si è dunque proceduto con il consolidamento della pittura. Nella sola tavola con la Madonna della Misericordia si è effettuata la rimozione delle ridipinture e stuccature, a favore del recupero della materia sottostante che si presentava consistente e in buono stato. Lo stesso non si è potuto fare con l’altra tavola, dove il restauro si è limitato al consolidamento del colore e all’integrazione delle lacune. Su entrambe è stata invece applicata una verniciatura e, infine, eseguito un trattamento di disinfestazione.
Redazione Restituzioni