Al centro della preziosa tavola è l’antico tema bizantino della Vergine che siede sopra l’albero di Jesse, qui rappresentato come un melograno che nasconde tra i suoi frutti il ritratto a mezzo busto dei profeti, ciascuno accompagnato dal relativo cartiglio.
La Vergine appare in tutta la sua maestosità, tra il fulgore dorato della veste ricamata e la luminosa mandorla nel suo grembo, dove è racchiuso Cristo Bambino, secondo l’arcaica iconografia dell’Immacolata Concezione. Il tema si contamina con l’altro, altrettanto celebre, dell’Incoronazione della Vergine: nello sfavillare degli ori, Dio Padre scende dall’alto con una sontuosa corona finemente lavorata, che fa di Maria una gloriosa Regina dei Cieli.
Il piccolo quadro devozionale, custodito nella chiesa degli Scalzi a Venezia, si trovava inizialmente nel convento degli Eremitani agostiniani nell’Isola di Santa Maria di Nazareth della città lagunare. Il convento fu abbandonato nel 1423 per ospitare il lazzaretto degli appestati: la data dunque costituisce un importante riferimento per collocare cronologicamente l’opera, che è stata quindi realizzata prima.
Per quanto riguarda invece l’attribuzione, la critica si è divisa su diverse posizioni: da Carlo Crivelli a Jacobello del Fiore e infine Michele Giambono. La questione può dirsi ancora aperta, anche se nell’opera è possibile riconoscere diverse matrici culturali: l’intenso decorativismo alla Jacobello del Fiore; l’enfasi monumentale che richiama Nicolò di Pietro; il minuto calligrafismo di derivazione nordica; ma soprattutto un’indiscussa atmosfera bizantineggiante, visibile nell’impostazione frontale e ieratica della Vergine, unita a retaggi ancora trecenteschi, presenti in particolare nel panneggio delineato con tratti larghi e pesanti, quasi appiattito in superficie. Considerate le diverse influenze artistiche, non è ancora possibile parlare di un’attribuzione definitiva, anche se non è da escludere, e anzi appare fondata, l’ipotesi di un Michele Giambono in fase di incertezza ed estrema sperimentazione linguistica.
Il restauro realizzato ha evidenziato i numerosi interventi del passato, determinanti per l’assetto e per l’iconografia dell’immagine, rendendo di fatto obbligate le scelte conservative attuali.
Un intervento secentesco ha trasformato l’originaria Madonna del Melograno in Madonna del Carmelo, grazie all’aggiunta dei simboli dell’ordine e la scritta (alla base dell’albero) “DECOR CARMELI”, tuttora visibile, anche se in ridipintura novecentesca, lasciata in rispetto della storia dell’opera. Sono state individuate anche altre ridipinture: una relativa al fondo blu e alla veste della Vergine (di fine Settecento o inizio Ottocento) e una novecentesca.
Consolidato il colore e la doratura, resi instabili da problemi del supporto (attacco di insetti xilofagi e sollevamenti), l’intervento è proceduto con operazioni di pulitura (eliminazione delle vernici più recenti e dei ritocchi a olio alterati) e con la ricucitura delle zone abrase. Si è invece esclusa l’eliminazione delle ridipinture più ampie poiché la perdita della testimonianza storica non sarebbe stata compensata dal recupero degli originali valori cromatici e spaziali.
Redazione Restituzioni