La pala, originariamente sull’altare della distrutta cappella napoletana di San Nicola a Pozzobianco, e dal 1991 in deposito al Museo di Capodimonte. Restituita a Filippo Vitale da Ferdinando Bologna nel 1955, l’ancona appartiene al ristretto nucleo di opere dal potente impatto realistico e dal saldo impianto monumentale su cui si è basata la moderna ricostruzione della fisionomia artistica del pittore, che da allora è venuto imponendosi come uno dei protagonisti dimenticati dell’ambiente caravaggesco napoletano.
Il contesto esecutivo di tale documento-chiave per la corrente naturalistica meridionale è stato chiarito nella recente mostra su Tanzio da Varallo a Napoli tenuta presso Palazzo Zevallos Stigliano tra il 2014 e il 2015. Le ricerche archivistiche hanno infatti stabilito che il dipinto fu commissionato a Vitale nel 1618 da Cesare Carmignano, figura di rilevante importanza storica in quanto patrocinatore dell’omonimo acquedotto che riforniva la città di Napoli. La nobile e potente famiglia Carmignano, nel cui raggio d’influenza ricadeva il sito di Pozzobianco, vantava tra i propri avi san Severo; tali elementi, assieme al ruolo di primo patrono di Napoli rivestito da san Gennaro, la cui immagine qui ricalca verosimilmente un perduto prototipo di Caravaggio, spiegano la presenza dei tre santi vescovi nel quadro.
Lo schema paratattico e la frontalità bloccata della composizione, arcaismi tipici del linguaggio del pittore, hanno le radici in una cultura figurativa locale di stampo devoto, mentre la resa preziosa e micrografica delle epidermidi, che e la caratteristica più specifica e impressionante di Vitale, qui finalmente recuperata grazie al restauro, rivela un’etimologia fiamminga che rimonta probabilmente alla formazione del pittore nella bottega di Loys Croys nel corso del primo decennio del secolo, successivamente aggiornata sul primo Ribera napoletano.
Giuseppe Porzio, Maria Tamajo Contarini