Sono rarissime le opere d’arte del Rinascimento italiano ancora capaci, nel XXI secolo, di custodire un valore devozionale: la Madonna con il Bambino di Jacopo Sansovino è una di queste. La sua più comune titolazione, Madonna del Parto, è l’esplicita affermazione del suo carattere devozionale e, in particolare, del suo legame con l’universo femminile impegnato nel progetto della maternità.
Nel suo ultimo anno di pontificato (1822), Pio VII Chiaramonti istituisce il culto, con la concessione dell’indulgenza alle donne e agli uomini che avessero baciato il piede della Vergine, recitando l’Ave Maria. Conseguenza della straordinaria fortuna della pratica religiosa è la sostituzione, nella prima metà del Novecento, dell’originario piede sinistro della Vergine, deformato dall’uso, con un nuovo piede in metallo (lamina d’argento). Con acutezza Giuseppe Gioacchino Belli registra nel 1833 lo stato, alterato, del manufatto: una Madonna gremita di ex voto e ninnoli, vestita di pendenti d’oro, collane e bracciali, così mondana e vistosa da assumere un’identità antitetica alla propria (La Madonna tanto miracolosa, 2 febbraio 1833).
La genesi del gruppo scultoreo – la più popolare opera sansoviniana – è ovviamente vicenda precedente, legata alla committenza degli eredi del ricco mercante fiorentino Giovanni Francesco Martelli, i quali nel 1516 affidano a Jacopo l’incarico di coronare con l’opera l’altare di famiglia nella chiesa di Sant’Agostino. Il contratto, redatto il 20 maggio di quell’anno, viene probabilmente onorato non prima del 1518, quando l’artista lascia la città dei Medici per trasferirsi a Roma (Garrard 1975; Boucher 1991, I, p. 180; Morresi 2000, p. 407). In circa tre anni il lavoro è terminato, chiuso nel 1521, quando Leone X muore e Roma è l’assoluto centro delle arti in Europa, con Michelangelo in piena attività e gli allievi di Raffaello che subentrano nei cantieri lasciati incompiuti dal grande maestro. Nel tempo di gestazione della scultura, l’edicola destinata a contenerla assume forme classiche, solo in parte sopravvissute, con le colonne scanalate e impostate su un alto stilobate che accoglie lo stemma della famiglia Martelli (un grifone rampante) e con una calotta modulata a conchiglia. È andato perduto, forse alla metà del XVIII secolo, il coevo coronamento ad affresco noto da un disegno conservato agli Uffizi, che riportava un motivo di putti e cartiglio e che le fonti letterarie, a partire da Giorgio Vasari, ascrivono a Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze (Boucher, 1991, II, fig. 67).
Jacopo Sansovino costruisce dunque la scultura in dialogo con la pittura, rielaborando e aggiornando sotto il profilo formale e iconografico quanto fatto da Andrea Sansovino nell’altare commissionatogli per la stessa chiesa dal protonotario apostolico Johann Goritz (1510-1512). In quel caso il gruppo scultoreo della Madonna con il Bambino e Sant’Anna dialoga con il celeberrimo Isaia di Raffaello, cucendo la vicenda mariana con quella biblica dei profeti, secondo impostazione teologica agostiniana.
Proprio dal modello paterno – di supremo gusto archeologico e tuttavia intriso della sensibilità leonardesca per gli affetti e i moti dell’animo (Fattorini 2013, pp. 80-84) – Jacopo parte, in direzione però di un più marcato citazionismo e di una esuberanza compositiva. L’esito è quello di una scultura nella quale coesistono, sullo stesso piano, influenze classiche e contemporanee.
È un’opera in porfido e bronzo raffigurante Apollo seduto, conservata nel Cinquecento nel cortile di casa Sassi e ritenuta la personificazione della dea Roma, a ispirare posa e forma della Madonna in Sant’Agostino. Portatrice dei concetti di abbondanza, forza e autorità, la statua di età romana si presta bene a un ‘riuso’ in ambito cristiano, con particolare riferimento alla Vergine: Jacopo ne ripropone giudiziosamente la disposizione degli arti, la rotazione del busto e del capo, la tipologia e il panneggio della veste, nonché l’acconciatura (Garrard 1975, infra). È invece dal fortunato gruppo ellenistico del Fanciullo con l’oca – noto già nel XVI secolo in numerose varianti, una delle quali a Roma – che l’artista trae ispirazione per il Bambino: eretto, in movimento e fiero, con un cardellino stretto nella mano destra, trattenuto dal possente braccio di Maria, dal quale sembra potersi svincolare. L’energia vitale del piccolo è potente, di estremo naturalismo, e contrasta con la solidità e la buona dose di astrazione della figura femminile.
Sotto il profilo del dinamismo e della monumentalità il gruppo di Jacopo paga pure un tributo a Michelangelo e al Sanzio (Morresi 2000, pp. 408-410). Chiaro è il legame con i celebri Tondi del Buonarroti, le Sibille della Cappella Sistina, il Mosè di San Pietro in Vincoli; stretto è il rapporto con i coevi modelli raffaelleschi, che Sansovino sembra aver studiato da vicino data la accertata frequentazione dello studio romano del pittore. È stato riconosciuto un modello della Madonna del Parto nella iconica Madonna della Quercia, oggi al Museo del Prado (1518 circa): stesso torso imponente della Vergine, stessa posa serpentinata, stesse mani affusolate, stesso capo minuto poggiato su un collo largo (Boucher 1991, I, p. 27).
La perfetta attualità, negli anni 1518-1520, del gruppo sansoviniano, è dimostrata dalla sua eredità, che, sia in scultura sia in pittura, conta riscontri importanti. Certamente la Madonna del Sasso, eseguita in marmo negli anni 1520-1524 dal Lorenzetto per la tomba di Raffaello al Pantheon, reitera la posa del bambino eretto che cerca di divincolarsi dalla stretta della madre, e sembra nutrita dalla stessa passione antiquaria, nella citazione quasi pedissequa di modelli greco-romani quanto alla capigliatura, al manto che copre il capo, al ricco panneggio. Ugualmente la Sacra Conversazione dipinta da Giulio Romano per l’altare della cappella Fugger in Santa Maria dell’Anima (1521-1523 circa) è animata da simili valori formali e iconografici. E lo stesso vale per celebri pale d’altare di Andrea del Sarto, nelle quali la componente antiquaria tuttavia sfuma.
L’eccezionalità del manufatto, ma soprattutto il suo uso corrente in ambito devozionale – con il continuo omaggio dei fedeli, fatto di doni ed ex voto –, lo hanno reso ‘resistente’ agli interventi conservativi, dei quali non c’è traccia nella documentazione archivistica in possesso della Soprintendenza di Roma, relativa agli ultimi quarant’anni.
Il restauro condotto da Anna Borzomati ha permesso finalmente di recuperare la leggibilità dell’opera: il forte imbrunimento che rivestiva la superficie marmorea, dovuto ai fumi sprigionati dai lumi accesi per culto, è stato alleggerito e, in alcuni punti, totalmente rimosso. Un capolavoro del Rinascimento viene dunque restituito all’ampia comunità degli studiosi e degli amatori d’arte per una più corretta comprensione e analisi.
Ilaria Sgarbozza
***
Bibliografia essenziale
Garrard 1975
M. D. Garrard, Jacopo Sansovino’s Madonna in Sant’Agostino: An Antique Source Rediscovered, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, vol. 38, 1975, pp. 333-338;
Boucher 1991
B. Boucher, The Sculpture of Jacopo Sansovino, 2 voll., Yale University Press, New Haven and London 1991;
Morresi 2000
M. Morresi, Jacopo Sansovino, Electa, Milano 2000;
Fattorini 2013
G. Fattorini, Andrea Sansovino, Tipografia Editrice Temi, Trento 2013.