Protagonista del trittico è la Vergine, solennemente assestata su un prezioso trono marmoreo che si staglia sulla luce dello sfondo dorato. Sulle sue ginocchia si posa in piedi il Bambino, appena coperto da un leggero velo, ad accentuarne la completa nudità, segno tangibile del mistero dell’Incarnazione.
La tavola di sinistra ospita un santo identificato come Leonardo, anche se misteriosamente connotato dall’attributo della palma – tradizionale simbolo del martirio – che non dovrebbe spettargli, almeno stando ai repertori agiografici. Nel pannello di destra si trova il più noto san Bernardino da Siena, vestito con il saio francescano e accompagnato dall’immancabile attributo del Nome di Gesù. Colpisce, nell’insieme, l’impostazione un po’ rigida e arcaica delle figure, dovuta alla destinazione devozionale e liturgica dell’opera, realizzata per l’austero contesto della chiesa milanese dei Carmini.
L’attuale struttura a trittico non corrisponde all’originaria conformazione dell’opera, concepita e realizzata come un polittico, almeno per quanto ci è dato sapere dalle testimonianze storiografiche secentesche.
In particolare, la Cronica di padre Fornari (1685) ci informa sulla struttura a due registri con la Vergine al centro attorniata dai santi Francesco, Bernardino, Pietro martire e Vincenzo (identificato poi con Leonardo) e in alto la Vergine Annunciata, il Padre Eterno (al centro) ed Elia con Eliseo. Questa conformazione risentiva dei modelli diffusi negli anni Ottanta del Quattrocento dalla bottega di Foppa e così anche lo stile, oscillante tra un purismo formale di matrice lombarda e influenze fiamminghe, memore soprattutto dell’affascinante lezione di Piero della Francesca.
Dalla seconda metà dell’Ottocento il trittico era stato confinato nei depositi della Pinacoteca di Brera, dove è rimasto a lungo. Questo a causa della sgradevole presenza di una patina scura, dovuta a un cattivo restauro ottocentesco. Situazione aggravata da un secondo restauro di metà Novecento, che ha causato una grave alterazione del fondo oro. Altri danneggiamenti sono venuti da cadute di colore, ridipinture e puliture abrasive, soprattutto nella tavola centrale.
Lo stesso supporto ha subito nel corso del tempo alcuni interventi invasivi, come l’applicazione di traverse, erroneamente finalizzate a impedire la flessione delle tavole.
Il restauro è stato perciò molto impegnativo, per il consolidamento del supporto e soprattutto per il recupero dello strato pittorico, con l’eliminazione della patina scura e di tutte le ridipinture, piuttosto pesanti e ampie, consentendo di cogliere gli aspetti più significativi, per stile e iconografia, di un’opera fondamentale per la ricostruzione del catalogo dell’artista.
Redazione Restituzioni