Rispetto alla più tradizionale raffigurazione della Madonna in trono, l’iconografia di questa statua è piuttosto inconsueta nel secondo Quattrocento in ambito veneto. La Vergine in piedi, a figura intera, con lo sguardo rivolto in basso verso il figlio che tiene disteso in braccio rimanda ad una tipologia di origine nordica, denominata “Maria in Sole” (prototipo dell’iconogradia dell’Immacolata Concezione). Opera di notevolissima qualità, la scultura di Isola è realizzata con sicura padronanza di mezzi tecnici, evidente nella capacità di abbinare la sicura resa plastica al preziosismo di raffinati particolari decorativi. L’impercettibile torsione verso destra conferisce alla statua un movimento avvolgente di grande eleganza. L’inclinazione della testa, dovuta all’attrazione imprescindibile della madre verso il figlio, sembra guidare tutta la dinamica dell’azione, che si trasferisce all’asimmetria del velo ripiegato sulla testa, alla posa della gamba destra leggermente piegata in avanti, alla stessa opposizione del manto, fermato con gesto elegante dalla mano sinistra, che si irradia in pieghe profonde e secche. Il corpo del figlio, sproporzionato rispetto a quello imponente della madre, si distende abbandonato in atteggiamento innaturale rivelando la sua fragilità di neonato.
La statua di S. Maria del Cengio mostra fortissime affinità di carattere stilistico e tipologico con una scultura di soggetto analogo conservata nel vicino Santuario della Fratta di Carrè. La statua di Carrè è firmata “OPUS HIERONIMI VICE” e rinvia ad un autore, un certo Girolamo Vicentino, che è sconosciuto alla letteratura artistica e va dunque considerata una personalità nuova nel panorama della scultura vicentina degli ultimi decenni del Quattrocento. Girolamo Vicentino si rivela un artista originale, soprattutto rispetto alla produzione plastica vicentina contemporanea, dominata da modelli lombardi. Lontano appare anche il retaggio gotico, mentre anzi la classicità pienamente rinascimentale delle due statue suggerirebbe di collegare l’autore ai modi di Pietro Lombardo, documentato a Vicenza nel 1470. I contatti più convincenti tuttavia andranno istituiti con la pittura veneziana contemporanea, con l’arte di Giovanni Bellini e in particolare con l’opera di Bartolomeno Montagna più direttamente ispirata a Bellini (dopo il 1482). I riferimenti pittorici sono del resto confermati dal gusto che il nostro autore evidenzia nei confronti della decorazione delle superfici, non solo nella resa minuziosa dei dettagli in rilievo, ma anche nella ricchezza e qualità della decorazione dipinta sugli abiti.
Strutturalmente integra ad eccezione del piede destro del Bambino e di una piccola porzione del manto. Scheggiato e rotto in più punti il basamento. Anche da un punto di vista della tecnica esecutiva il restauro ha permesso di notare le affinità di quest’opera con quella di Carrè. I danni maggiori, che hanno interessato la policromia delle decorazioni e la cromia stessa del supporto lapideo, sono da imputare probabilmente al forte calore a cui fu sottoposta la statua in occasione dell’incendio che colpì la chiesa nel 1920. La rimozione delle ridipinture sulle vesti ha rivelato una stesura pittorica originale di grande finezza. Tracce consistenti di dorature sono state trovate sui capelli del Bambino e della Vergine, sul manto blu e sulla veste rossa. L’oro a missione è applicato direttamente sulla superficie dipinta. Su una stesura ad olio, impiegata con funzione di adesivo, viene applicata la foglia d’oro non brunita, ma solo nettata con un batuffolo di cotone, che conferisce un tono leggermente più opaco. Lungo i bordi del manto e i margini delle foglie è stata rinvenuta una lacca di colore rosso, impiegata per rifinire e dar rilievo al disegno.
Redazione Restituzioni