L’altorilievo si conserva al Museo Diocesano di Padova dal 2014, quando le monache visitandine padovane lasciarono il monastero in Riviera San Benedetto, dov’era custodito e venerato. Della Madonna del grappolo, a eccezione di qualche nota delle monache, non esiste documentazione certa. Secondo recenti studi, la terracotta venne donata, per le sue proprietà miracolose, da privati alle clarisse di Santa Chiara in Padova. L’avrebbe poi portata a San Benedetto la madre vicaria Maria Luigia Marchetti, accolta nella comunità dopo la soppressione del convento francescano.
In un’epoca imprecisata l’opera subì gravi danni con la perdita della porzione inferiore del manto della Vergine, della gamba esterna del Bambino e forse del supporto (cuscino o parapetto) sul quale poggiava i piedi (anch’essi perduti), nonché la rottura delle teste all’altezza del collo. Un primo intervento riparatore precedette quello più invasivo (nell’Ottocento), con la trasformazione dell’immagine a figura intera, destinata a un altare. Vennero aggiunte la parte inferiore del corpo della Vergine, fino ai piedi, e la gamba sinistra del Bambino: integrazioni in legno innestate su un riempimento della parte cava retrostante, armonizzate poi con una stesura policromatica su tutto il rilievo. Interventi che sono stati rimossi con l’attuale restauro, riportando la scultura allo stato “frammentario” e recuperandone quindi l’autenticità di forma e colore (le poche tracce di policromia originaria poste sulla parte superiore suggeriscono una sua probabile collocazione esterna in un’edicola o nicchia). Avvolta in un manto leggero che le copre il capo e chiuso sul petto, la Madonna sorregge il Figlio con la mano sinistra, trattenendolo con la destra e avvicinandolo a sé delicatamente. Il Bambino, eretto, con la mano destra scosta con naturalezza un lembo del manto; con la sinistra regge un grappolo d’uva, simbolo della sua futura Passione.
Confronti con alcune Madonne simili dal punto di vista iconografico hanno permesso agli studiosi di assegnare l’opera inedita alla tarda attività di Giovanni de Fondulis (plasticatore cremasco a Padova tra il 1468 e il 1491), caratterizzata da un “naturalismo sobrio e composto”. Il trattamento plastico delle vesti, il viso florido di entrambe le figure con il sottomento pronunciato, i capelli a grosse ciocche svirgolate del Bambino, le mani carnose, e in particolare la flessuosità di quella destra della Madre, si ritrovano in altre opere del suo catalogo. Il rilievo è stato oggetto di uno studio approfondito nell’ambito del progetto della diocesi di Padova Mi sta a cuore. Sculture in terracotta del Rinascimento (2018-2020), che ha visto la collaborazione del CIBA (Università degli Studi di Padova) e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso, insieme ad altre tre opere: Il Compianto su Cristo morto (ambito di Bartolomeo Bellano, nono decennio del XV secolo) chiesa di San Pietro in Padova (restauro di Raffaela Portieri); la Madonna con il Bambino in trono (Giovanni de Fondulis, 1468-1470 ca), chiesa di San Nicolò in Padova (restauro di Beatrice Falconi); la Madonna con il Bambino in trono (Giovanni de Fondulis, 1474 ca) chiesa della Natività della Beata Vergine Maria di Pozzonovo (restauro di Giordano Passarella)