La loutrophoros appartiene alla considerevole raccolta vascolare proveniente da Ruvo di Puglia, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Fu acquistata nel 1838, insieme alla collezione di oggetti antichi di proprietàdi Michele Ficco e Vincenzo Cervone. Il restauro realizzato in occasione di Restituzioni 2013 ha fatto conoscere un importante dato che getta nuova luce sulla storia del vaso e sulle dinamiche di restauro dei secoli scorsi: la parte compresa dall’orlo all’attacco delle spalle non è originale ma frutto di un intervento ottocentesco.
La non antichità dell’elemento, suggerita inizialmente da evidenti anomalie tecniche e stilistiche, è stata confermata da analisi archeometriche. Difficile è stabilire quando avvenne l’integrazione della parte moderna al corpo della loutrophoros: forse già a Ruvo di Puglia, dove si realizzavano restauri di vasi in laboratori organizzati, dopo la sua scoperta, per renderla appetibile sul mercato antiquario. Al momento del restauro attuale, la loutrophoros presentava un cedimento strutturale dei precedenti interventi. Il vaso è stato sottoposto a pulitura chimica e meccanica, si sono quindi incollati i frammenti. Sono stati rimontati anche il collo e le anse in quanto importanti testimonianze del restauro storico ottocentesco.
La loutrophoros è, dall’analisi delle sue parti sicuramente antiche, opera pregevole del Pittore di Varrese, ceramografo che operò a Taranto soprattutto per un mercato peuceta; in particolare, numerosi sono i ritrovamenti a Ruvo di Puglia. Apprezzata da questo pittore, al quale si deve la sua introduzione nel repertorio apulo, è la forma vascolare della loutrophoros, che si connota come vaso ‘al femminile’ per la sua originaria funzione di contenitore per il trasporto dell’acqua usata per i bagni collegati ai riti matrimoniali. La forma elegante, arricchita da elementi plastici e dotata di anse sinuose, fu spesso decorata da scene complesse del repertorio mitico, con protagoniste femminili.
È il caso della loutrophoros in esame, che presenta sul lato principale il mito di Niobe, moglie di Anfione, re di Tebe, già narrato nell’Iliade (24, 602-620). Madre di sette figli maschi e sette femmine, si vantò della sua prolificità con Latona che partorì solo i gemelli divini Apollo e Artemide. Ciò procurò la vendetta della dea che ordinò ai figli di uccidere, colpendola con le frecce, la prole di Niobe. La madre per il dolore si trasformò in pietra mentre piangeva sulla tomba dei figli. La diffusione nella società greca di tale racconto mitico è documentata dalle perdute tragedie di Eschilo e Sofocle dal titolo Niobe.
Tale mito venne apprezzato nella società apula; in particolare fu selezionata dal Pittore di Varrese e dal suo continuatore, il Pittore di Dario, la scena della pietrificazione della donna.
La scelta del soggetto ha chiara funzione consolatoria: parla di un destino di morte e di dolore che accomuna uomini ed eroi. La raffigurazione del mito che interessa l’intero lato principale del vaso è articolata intorno alla tomba dei figli, presso la quale Niobe piange e si muta in pietra, resa come naiskos funerario, che diventa, grazie a un’astuta ambivalenza, la stessa sepoltura della donna; al centro è raffigurata Niobe che si avvolge, in segno di lutto, in un mantello.
All’esterno del naiskos, i famigliari affranti si rivolgono alla donna: la nutrice di Niobe con corta chioma canuta coperta dal mantello, Tantalo, padre dell’eroina, in abiti orientali, e Pelope, fratello di Niobe. Nel registro superiore sono raffigurati gli altri protagonisti della vicenda: le divinità che, offese dall’atto di hybris di Niobe, hanno compiuto la crudele vendetta. Su un lato vi sono Apollo, Artemide e Latona.
Dalla parte opposta Hermes a colloquio con Zeus che gli siede accanto. Apparentemente estranee all’azione drammatica sono tre figure di fanciulle vestite di leggiadri chitoni, intente ad azioni ‘al femminile’: la loro presenza riporta ai valori di bellezza e ai simboli matrimoniali collegati alla celebrazione della defunta, donna di rango dell’aristocrazia peuceta, a cui fu probabilmente destinato il vaso.
Il riferimento alla celebrazione della defunta si esplicita nel lato B della loutrophoros, che propone il tema dell’offerta di oggetti-simboli riferiti al mondo femminile all’edicola funeraria da parte di fanciulle: l’immagine della donna all’interno del naiskos e, in questo caso, sostituita da un lussureggiante elemento vegetale avente un’accezione positiva e consolatoria, ricordando l’aldilà beato, nuova dimora eterna della defunta.
Federica Giacobello
Foto: Gennaro Morgese (SSBA Napoli)