I due manufatti antropomorfi, abbastanza rari per la tipologia, costituiscono prima di tutto una sorpresa a livello di culto, in quanto si è diffuso fino a Faenza un culto devozionale tipicamente di Rimini che vede associate santa Giustina, martire piuttosto nota di Padova, con la martire riminese Innocenza: le due sante furono curiosamente venerate insieme nella città adriatica prima del Mille, sulla base di iscrizioni indubitabili. A Faenza, sulla via Emilia, il culto è giunto almeno nel XIII secolo, in quanto in quell’epoca (1273) fu edificato un altare nella chiesa abbaziale di Santa Maria foris portam. Le reliquie, di cui abbiamo notizia scritta solo nel 1675 ma che si riferiscono a tempi molto precedenti, venivano probabilmente dalla non meno prestigiosa sede abbaziale dei Santi Ippolito e Lorenzo in Faenza, appartenente ai monaci camaldolesi. Il magistrale restauro di Florence Jeanne Marie Caillaud, dell’Università di Bologna – sede di Ravenna, ha messo in luce le vicende molto stratificate delle Sante Mani, di sapore veneziano-bizantino, specialmente nelle croci traforate per far intravedere le reliquie, ma con interventi sicuramente cinquecenteschi, in particolare con il richiamo ai volti di cherubini raffaelleschi, oltre che con dorature sopra argentature, aggiunte di cerniere legate all’uso diverso nel tempo. Tutto ciò a testimoniare che, oltre a essere portate processionalmente, come in effetti risulta, le Sante Mani venivano baciate, appoggiate probabilmente su parti malate, con quella pratica del contatto fisico che ha contraddistinto molte forme di pietà.
Dopo il 1571 santa Giustina venne associata alla battaglia di Lepanto. Furono anche eseguite due interessanti tele raffiguranti le martiri. Concordando con l’illustre parere di Anna Tambini, si possono datare i manufatti alla fine del XV – inizi del XVI secolo, con interventi successivi.