Tra il 1937 e il 1938, durante lo scavo di un piccolo appartamento (insula V, civico 18), dell’antica Herculaneum, un larario in legno carbonizzato veniva liberato dal fango vulcanico dell’eruzione del 79 d.C. L’appartamento, posto al primo piano e collegato a una bottega tramite una scala interna, era affacciato sulla via principale della città, il Decumano Massimo.
Nelle loro abitazioni, i romani riservavano uno spazio sacro al culto della casa e della famiglia, dove trovavano posto tempietti o semplici nicchie scavate nei muri, denominati larari, al cui interno venivano custodite, oltre alle immagini di divinità tradizionali, quelle dei Lari e dei Penati, spiriti protettori del focolare domestico e numi tutelari della famiglia.
Il larario ercolanese fu portato alla luce in stato di carbonizzazione, una condizione comune alla maggior parte dei reperti di legno trovati a Ercolano. Il processo di trasformazione del legno in carbone, conservando la forma originaria degli oggetti, si è innescato a contatto con il materiale eruttivo che, ad altissime temperature e in assenza di ossigeno, si è solidificato sulle superfici. I manufatti in legno carbonizzato, una volta ricomposti da più frammenti, a partire dagli anni venti del secolo scorso, furono consolidati tramite cera e paraffina e così restaurati venivano contestualizzati nell’area archeologica, che appariva al visitatore come una “città-museo”, unica per la rarità e il sorprendente stato di conservazione degli arredi e degli utensili di uso quotidiano esposti.
Subito dopo il restauro il larario fu allestito nel retrobottega al pianterreno, dapprima privo di protezioni e successivamente tutelato da una teca in vetro, finché non si ritenne opportuno trasferirlo in deposito.
L’opera, di straordinario fascino, trova confronti nel mondo antico solo con altri due esemplari in legno carbonizzato, ugualmente provenienti dall’antica Herculaneum.
Il manufatto si presenta in forma di tempietto con due colonne in facciata; la cella, destinata ai simulacri divini, conserva sul fronte tre delle quattro ante che riproducevano in scala un modello di porte di legno, in uso in antico, in cui si può ammirare la sopravvivenza di tracce di cerniera in legno quale eccezionale testimonianza in miniatura del sistema di apertura e chiusura a libro: le ante si piegavano in avanti e giravano verso il lato esterno della cella, per consentire un’apertura integrale del vano sacro che mostrava gli oggetti di culto.