La lampada, in vetro incolore lievemente verdognolo, ha la forma di un piatto fondo. Funge da piede un basso collarino. All’esterno, la concavità presenta una decorazione geometrica a rilievo, con motivi a dischi e a coni (detti punti). Lungo il bordo superiore è fissata una lamina d’argento dorato, su cui è incisa, tra due festoni, un’iscrizione in lettere greche che recita: “Oh san Pantalemone, salva il tuo servo Zaccaria, arcivescovo di Iberia, Amen”. Sulla montatura sono saldati tre anelli che servivano per la sospensione della lampada.
La coppa, appartenente al Tesoro della Basilica di San Marco, è un’opera di produzione bizantina, giunta forse a Venezia dopo la presa di Costantinopoli nel 1204. Come suggerisce l’iscrizione, è probabile che l’oggetto fu donato da Zaccaria, arcivescovo dell’Iberia caucasica (l’odierna Georgia), a un santuario costantinopolitano che fu poi saccheggiato dai veneziani. Quanto alla datazione, si può formulare un’ipotesi sulla base della montatura metallica, stilisticamente analoga a quella del Calice di Sisinnio, altro pezzo marciano: poiché Sisinnio era un dignitario della corte dell’imperatore bizantino Romano II, che regnò tra il 959 e il 963, il nostro oggetto è collocabile tra il X e l’XI secolo.
Dopo lo smontaggio della coppa dalla montatura, il vetro è stato pulito con tamponi di cotone imbevuti in solventi organici, con acqua deionizzata e tensioattivo. La montatura è stata pulita dalle sostanze grasse e cerose con impacchi di trielina e acetone; i solfati e i cloruri d’argento sono stati asportati con impacchi a base di alcol, bicarbonato di sodio e carbonato di calcio. Le superfici metalliche sono state lavate in acqua deionizzata, disidratate e protette con resina nitrocellulosica.
Redazione Restituzioni