Il manufatto, ricavato da un unico blocco di cristallo, svolgeva la funzione di lampada: lo attesta la presenza, lungo il bordo, di nove fori destinati a sostenere dei porta ceri e, alle estremità, di due coppie di occhielli in argento dorato, funzionali alla sospensione. La lampada è del tutto priva di decorazione, ha pareti molto spesse e presenta una singolare stilizzazione della forma, di difficile lettura: gli studiosi vi hanno riconosciuto ora la figura di un pesce, ora di una navicella.
Ciò che differenzia la nostra lampada da molti oggetti in cristallo o in vetro più o meno coevi e anch’essi appartenenti al Tesoro della Basilica veneziana di San Marco, è la mancanza di motivi decorativi: la contraddistingue, infatti, un’elegante linearità. Altre peculiarità del pezzo sono lo spessore piuttosto accentuato e, soprattutto, la straordinaria essenzialità della forma: essa richiama la sagoma di un pesce o di una nave o, forse, una schematica fusione delle due iconografie, entrambe a forte valenza simbolica nell’ideologia religiosa cristiana (il pesce allude alla figura di Cristo, la nave a quella della Chiesa).
L’oggetto, per le sue insolite caratteristiche che lo rendono “enigmatico ”, è difficilmente collocabile da un punto di vista cronologico e geografico. Partendo da considerazioni tecnico-stilistiche, l’ipotesi più probabile assegna la lampada a botteghe bizantine di intagliatori operanti tra il IX-X e l’XI secolo. Da un’analisi delle suppellettili da illuminazione utilizzate sia in oriente che in occidente dall’età tardoantica fino a quella medievale, emerge un dato che conforta l’ipotesi di datazione proposta: ovvero la diffusione, a partire dai primi secoli del Medioevo, di lampade con montature o fori lungo l’orlo per l’illuminazione a ceri o a singoli lumi, come il pezzo in esame.
Il restauro è consistito nella rimozione dei depositi di polvere dalle superfici, utilizzando tamponi di cotone imbevuti di solventi organici, acqua deionizzata e tensioattivo. Anche gli occhielli d’argento sono stati sottoposti a pulitura: le sostanze grasse e cerose sono state eliminate con tamponi imbevuti di trielina e acetone; lo spesso strato di solfuri d’argento, che provocava scurimento, è stato asportato impiegando alcol e bicarbonato di sodio o carbonato di calcio in polvere finissima. Dopo i lavaggi con acqua deionizzata per togliere le tracce dei prodotti utilizzati, le superfici sono state disidratate con bagni alternati in alcol e acetone. Infine sugli occhielli è stata applicata resina nitrocellulosica come protettivo.
Redazione Restituzioni