Il nucleo principale del Tesoro di San Marco si è costituito, nel Medioevo, in seguito ai saccheggi di chiese e santuari di Costantinopoli fatte dai soldati che parteciparono alla Quarta Crociata (1204). Nella maggior parte dei casi si tratta di oggetti di destinazione ecclesiastica o propriamente liturgici, prodotti in un periodo antecedente (dalla fine del IX alla fine del XII secolo) la conquista della città da parte dei Crociati. La provenienza della lampada in oggetto ha probabilmente questa origine, anche se gli inventari del museo non ne parlano che a partire dal 1283. La lampada è formata da una coppa in avorio di forma allungata, a navicella, con una montatura in argento dorato, impreziosita da granuli e gemme vitree montate su castoni alternativamente ovali e rettangolari. Il piede e il bordo sono collegati tramite quattro montanti incernierati. Sul bordo inoltre sono saldati quattro anelli, che servono per sospendere la lampada, alternati a quattro piccoli tubi cilindrici per collocare le candele. In fase di restauro sono stati trovati residui di filamenti sulla fascetta esterna del bordo, in corrispondenza con gli anelli e i montanti: ciò fa supporre che la decorazione originale fosse più ricca di quella che si è conservata, comprendendo forse fili di perle e di granuli, come in altri oggetti simili.
L’opera rappresenta una buona testimonianza di oreficeria accurata e preziosa. Si sono conservate però solo tre gemme vitree ad ornamento dei castoni, due sui montanti laterali ed una, verde, sul piede. Interessante il fatto che in uno studio del 1886 venga indicata la presenza di una “prasma”: si tratta di una pietra di colore verde profondo, ancor oggi non facilmente identificabile ma conosciutissima fin dall’antichità, e impiegata da Greci e Romani. Proveniente dalle Indie orientali era utilizzata soprattutto come pietra ornamentale e il suo utilizzo come gemma decorativa di una lampada risulta molto raro. Di provenienza macedone, come la maggior parte dei vasi con montature bizantine presenti nel Tesoro di San Marco, la lampada conferma una caratteristica fondamentale dell’arte bizantina medievale: l’alto grado di raffinatezza e l’attenzione per i dettagli decorativi ottenuti attraverso l’impiego di metalli preziosi. La presenza dell’oro e della doratura, come anche il ricorso agli ornamenti policromi, non sono che due espedienti tipici di quest’epoca.
La lampada si presentava in cattivo stato di conservazione: tre dei quattro montanti risultavano privi di anellini delle cerniere; il bordo del piede evidenziava una forte deformazione, probabilmente legata ad un urto accidentale; le superfici metalliche apparivano scurite da prodotti di solforazione dell’argento. L’intervento è consistito nella pulizia di queste ultime mediante cotone imbevuto di alcol etilico puro e bicarbonato di sodio, con l’aggiunta di carbonato di calcio in polvere finissima. Non è stato possibile rimediare invece, se non parzialmente con appositi strumenti meccanici, alla deformazione del piede. A completamento delle parti mancanti delle cerniere sono state applicate e incollate con resina delle lamine d’argento sagomate. La coppetta in avorio è stata pulita a tampone con acqua deionizzata e tensioattivo (Neodesogen). L’intervento si è concluso con il rimontaggio delle singole parti e con la stesura di un film protettivo (di cera microcristallina sulla coppa, di resina nitrocellulosica sulle parti metalliche).
Redazione Restituzioni