Una poderosa Vergine ammantata e ritratta a mezzo busto; un Bambino avvolto in fasce poggiante su un parapetto in pietra; un devoto barbuto posto di profilo, in margine a sinistra: non mancano in quest’opera, realizzata da Moretto verso la metà del Cinquecento, gli ingredienti per delineare una delle più note formule dell’iconografia religiosa a carattere devozionale.
La potenzialità di coinvolgimento emotivo dell’opera è amplificata da alcuni espedienti tecnici: il gesto protettivo della Vergine nei confronti del Bambino, il volto inclinato che si rivolge allo spettatore esterno, la scelta di presentare il momento dell’allattamento, come a sottolineare la componente di umanità della scena. A colpire però è una sorta di arcaicità, rilevata già dalla storiografia ottocentesca, dovuta allo sfondo blu puntato di stelle, memore delle decorazioni a fresco, davvero peculiare per lo sfondo di un dipinto ad olio.
La singolare arcaicità ha una sua precisa ragione, legata alla funzione del dipinto, collocato nella cappella della Purificazione di Maria nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia. Esso doveva infatti svolgere le funzioni di un precedente affresco quattrocentesco, ritrovato sotto l’intonaco della parete nord della cappella, poi trasferito nell’abside della stessa.
I vari ritocchi subiti dall’opera e, soprattutto, la mediocre qualità dello sfondo hanno fatto oscillare la critica ottocentesca, che ha messo in discussione l’attribuzione a Moretto. Attribuzione che ha invece trovato solide conferme con il restauro e con la scoperta dell’affresco di analogo soggetto. Sembra anzi possibile che la Scuola della Purificazione della Beata Vergine Maria, che aveva in custodia l’omonima cappella, avesse commissionato il dipinto come “coperta” dell’affresco, nell’ambito del rinnovo decorativo dell’antica cappella.
Con il recente restauro, l’analisi del manto pittorico ha permesso di individuare tre strati cromatici: il primo, bruno, che corrisponde verosimilmente all’originale; il secondo, databile al XVIII secolo, è azzurro brillante: contestualmente a questa stesura la tela deve esser stata decurtata e impreziosita con l’aureola e le stelle sul cielo e sul manto della Vergine; il terzo, condotto a “scontornare” le stelle, dovrebbe risalire a metà del XX secolo quando l’opera fu foderata e vincolata a un assemblaggio di assi.
L’odierno restauro ha optato per soluzioni di carattere prettamente conservativo: sono state così mantenute le ridipinture omogenee, riconducibili al XVIII secolo così come l’assito ligneo. Si è proceduto invece alla stuccatura delle lacune, all’integrazione pittorica e alla verniciatura con opportuni strumenti tecnici, sempre nel pieno rispetto della storia e della finalità devozionale del dipinto.
Redazione Restituzioni