Il rilievo con l’Incoronazione della Vergine si trovava originariamente sopra il portale principale della chiesa di Santa Maria Celeste, detta “la Celestia”, parte di un complesso monastico di fondazione duecentesca retto da monache cistercensi. La chiesa, distrutta quasi interamente da un incendio nel 1569, iniziò a essere rifabbricata a pianta centrale nel 1581 su progetto dell’architetto Vincenzo Scamozzi. L’edificio venne però demolito ancor prima di essere completato e ricostruito, a partire dal 1604-1605 su pianta a croce latina. Durante la dominazione austriaca la chiesa venne definitivamente rasa al suolo. Grazie ai disegni di Antonio Visentini (nell’Admiranda urbis venetae) e di Giovanni Grevembroch (Monumenta veneta) sappiamo che il rilievo si trovava nel nuovo edificio sopra il portale principale, collocazione che presumibilmente (visto che la chiesa era dedicata a Santa Maria Celeste o Assunta) avrà probabilmente avuto anche nella precedente chiesa distrutta dall’incendio. In seguito alla soppressione del convento (1810), il rilievo venne dapprima ricoverato entro il vicino oratorio intitolato alla Vergine Assunta per poi, plausibilmente in seguito a un atto di vendita della Regia Marina, che allora ne era proprietaria, approdare nelle raccolte del Seminario.
Il bassorilievo ripropone un tema iconografico ampiamente diffuso a Venezia nella prima metà del Quattrocento, di cui si conoscono numerose testimonianze, soprattutto pittoriche (per esempio la pala di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna per la chiesa di San Pantalon e quella di Michele Giambono per la chiesa di Sant’Agnese, oggi alle Gallerie dell’Accademia). Il rilievo si caratterizza per una composizione equilibrata tutta giocata su corrispondenze simmetriche e sul contrappunto tra i modi aggraziati dei due angeli e la più ferma monumentalità dei personaggi sacri. L’opera sembra risentire dell’influenza di quella corrente classicista che caratterizza nei primi decenni del Cinquecento la scultura veneziana, rappresentata in particolar modo dagli artisti gravitanti intorno all’orbita di Antonio e Tullio Lombardo, figli di Pietro, e dei fratelli Bregno. In particolare alcuni aspetti del rilievo richiamano i modi di Lorenzo Bregno. Al di là di alcune somiglianze nella tipologia facciale (collo robusto, bocca stretta, guance pesanti e rotonde), ciò che più avvicina questo rilievo all’opera di Lorenzo Bregno è la condotta dei panneggi svolazzanti al vento, con quel caratteristico modo di far descrivere al tessuto della veste arrotolato sulla spalla e sull’avambraccio un ampio giro circolare e di far arricciare le pieghe nel fondo con un gusto decorativo di marca ancora tardogotica. I modi un po’ rigidi e semplificati con cui vengono tradotti i modelli, però, tradiscono la scarsa eccellenza dell’artista e forse anche la sua estrazione provinciale.
Il rilievo ha evidentemente subito in passato un intervento di pulitura molto aggressiva, nel tentativo di eliminare le incrostazioni prodotte dalla prolungata esposizione all’aperto. A questa pulitura sono da imputare la patina gialla che il rilievo presentava prima dell’ultimo restauro (dovuta alla formazione di uno strato di solfatazione e ossalati probabilmente imputabili all’impiego di sostanze caustiche), nonché i segni di abrasione creati dall’utilizzo di spazzole metalliche, e probabilmente anche l’assenza di policromia. L’intervento più invasivo però era consistito nella modifica apportata alla lastra di pietra, che originariamente era di forma rettangolare e lavorata a bassorilievo: il pezzo, oltre ad essere stato ridotto di qualche centimetro in altezza, è stato pesantemente scalpellato sul retro; inoltre i due angeli sono stati scontornati nella parte superiore, a partire dall’ala, e così pure la figura di Cristo al di sopra del braccio sollevato. Con l’attuale intervento di restauro si è provveduto a una semplice pulitura e a un accurato lavaggio della superficie con acqua deionizzata per rimuovere rispettivamente le stratificazioni di polvere e i sali solubili residui. La mano di Cristo, che era stata rimodellata in malta in un precedente intervento, è stata mantenuta.
Redazione Restituzioni