Dei due dipinti dell’artista piemontese posseduti dalla Galleria Nazionale, Il Sole occupa un posto di particolare rilievo nel contesto delle sperimentazioni della tecnica divisionista in chiave simbolista della pittura italiana dell’Ottocento.
Prima opera di Pellizza da Volpedo entrata in un museo pubblico, Il Sole fu acquistato dallo Stato italiano all’Esposizione Internazionale di Milano del 1906. È questa luce centrale e abbagliante, al punto da offuscare gli altri elementi del paesaggio, che impronta tutta la composizione quasi a voler suggerire la forza della propria energia che domina la natura circostante da essa alimentata. A differenza di Prato Fiorito, altro dipinto di Pellizza alla Galleria Nazionale, nessuna presenza umana o animale turba il silenzio cosmico che connota il momento dell’alba, quando l’universo sembra ancora immerso in un sonno che solo la luce del sole è in grado di destare. Permangono, tuttavia, le quinte prospettiche che scandiscono i vari livelli dal primo piano all’orizzonte: i cespugli che fiancheggiano da ambo i lati il sentiero al centro, il fienile e il caseggiato sulla sinistra, bilanciati dalla folta chioma di un albero sulla destra.
Come l’artista annotò in un manoscritto del 1906, il soggetto del dipinto è “Il Sole, il sole levante”: dove la precisazione indica quell’istante particolare, quelle frazioni minime di tempo, durante le quali l’unica stella – “stella nana media” – del sistema planetario cui appartiene la Terra raggiunge la forma circolare con la quale viene percepita dall’occhio umano. Pellizza ha tracciato l’emisfero superiore del disco solare quasi perfettamente, senza ricorrere all’ausilio di alcun disegno preparatorio sottostante. Il bagliore della luce che tutto avvolge nell’alone creato dai vapori mattutini è tale da suggerire – se si guarda la tela da una dovuta distanza – l’immagine del sole nella sua interezza: essa catalizza l’attenzione dello spettatore, a discapito del restante paesaggio che rimane volutamente in ombra.
Quando Pellizza mette mano alla tela del Sole, egli si trova ancora nella temperie spirituale di quel prepotente affresco dedicato alla presa di consapevolezza del proletariato che avanza compatto, emergendo dall’oscurità verso una nuova sorgente di luce: Il Quarto Stato. Entrambi i dipinti erano a suo dire delle Glorificazioni della natura umana – animata e non –, come l’artista avrebbe spiegato, proprio nel 1904, all’amico e pittore Matteo Olivero.
Pur mantenendo nella stesura della superficie pittorica la raffinata tecnica divisionista, già segnata da un’ulteriore evoluzione – in quanto ai puntini, ai bastoncini e alle filettature del Quarto Stato si sono sostituiti ora, nel Sole, lunghi filamenti –, Pellizza era tuttavia perplesso relativamente a temi che coinvolgessero “la sociologia e peggio la politica”. Tale era sicuramente il soggetto del Sole, e in una lettera indirizzata nel 1905 al pittore Luigi Onetti Pellizza avrebbe esaltato l’intriso e potenziale simbolismo delle rappresentazioni della natura inanimata: “possono essere particolarmente e socialmente utili all’uomo, traendolo dalla realtà informe, anarchica, verso una realtà organica… socialista!”.
Parecchi sono stati gli interventi conservativi sul Sole, con numerose riverniciature, la cui progressiva ossidazione aveva conferito al dipinto una patina giallastra nella parte superiore. Un analogo scurimento aveva invece interessato la superficie pittorica corrispondente a tutta la vegetazione del primo piano e ai caseggiati sulla sinistra.
L’intervento realizzato nell’ambito del progetto Restituzioni ha attuato un consolidamento della pellicola pittorica, laddove la stessa presentava ancora sollevamenti e microlacune dovute ai movimenti della tela, sottoposta nel tempo a numerosi sbalzi termoigrometrici: ragione per la quale si è anche provveduto a un ritensionamento meccanico della stessa. I contenuti saggi di pulitura sulla parte del cielo, pur evitando di rimuovere lo strato di vernice ultimo, hanno consentito di apprezzare la ricchezza cromatica delle pennellate divisioniste che Pellizza riservava, come da lui stesso dichiarato già nel 1898, a “ogni cosa che abbisogna di aria, luce, colore, misteriosità”.