Sul Sarcofago di Giona (ridotto, in verità, nel Settecento alla sola parte frontale) si può ammirare il più bell’esempio figurato del ciclo che i primi artisti cristiani dedicarono alla storia del profeta (cfr. Giona 1,1-2,11), formulato da una raffinata officina marmoraria romana tra fine III e inizi IV secolo: a sinistra e la scena dei marinai che gettano il profeta dalla nave, mentre la «grande tempesta» (1,12) e richiamata dalla vela rigonfia, dal vento personificato sopra di essa e dal mare increspato; il «grosso pesce» (2,1) che inghiotte Giona nel racconto biblico diviene qui un mostro marino (pistrix) di derivazione iconografica classica. Il mostro rigetta poi, specularmente, il profeta «sull’asciutto» (2,11), su una roccia abitata da animali marini e terrestri, sulla quale infine, più in alto, egli riposa disteso, in classica posa, sotto la «grande pianta di ricino» (4,6) che Dio fa crescere per ristorarlo dall’arsura.
Altre scene sono riconoscibili nel vasto campo iconografico: Noè nell’arca che accoglie la colomba; la resurrezione di Lazzaro; le due scene apocrife di Pietro che battezza i carcerieri e di Pietro arrestato; e infine le due figure simboliche di un pescatore (con due altri pescatori che si scambiano un cesto) e di un pastore con il gregge, tema capitale della prima iconografia cristiana.
La pulitura, infine, dei brevissimi lati del manufatto – parte iniziale, in origine, dei fianchi del sarcofago, di forma all’incirca quadrangolare – ha evidenziato la loro decorazione a motivi fitomorfi (dei grappoli di ciliegie), finora trascurata negli studi sull’opera.
Il sarcofago fu rinvenuto in Vaticano durante la costruzione della nuova basilica.
La prima attestazione si riconosce in un disegno di Giovanni Francesco Rutilioni (†1587), che vide il sarcofago nel palazzo della Valle-Capranica: è verosimile che l’acquisizione si ricolleghi alla figura di Paolo Capranica, presente a Roma come canonico di San Pietro, attivo a Roma dopo il 1568.
Nel 1584 l’intera collezione della Valle-Capranica passò al cardinale Ferdinando de’ Medici: il Sarcofago di Giona compare negli inventari di villa Medici tra il 1588 e il 1740, collocato dapprima nel piazzale, poi nel ‘viale Maestro’, associato come vasca di fontana a una statua porfiretica di Atena.
Nel 1757, in occasione dell’allestimento del Museo Cristiano di Benedetto XIV, la fronte fu segata e consegnata a Cavaceppi per il restauro e la sistemazione negli ambienti della Biblioteca Vaticana. Nel 1854 il rilievo fu spostato nuovamente presso il Museo Pio Cristiano in Laterano e torno, infine, in Vaticano con il trasferimento delle collezioni lateranensi nel 1963.
A seguito di precedenti restauri, il primo dei quali dovuto a Bartolomeo Cavaceppi (1757), la fronte del sarcofago si presentava integrata in più punti e ricomposta da frammenti, fatti aderire con collante a base di colofonia e cera, tramite il supporto di grappe e perni metallici. La perdita di efficacia del vecchio adesivo aveva reso precaria la statica dei frammenti, determinando l’esigenza di riaprire due delle antiche lesioni. Compiuta la delicata operazione di smontaggio, si e provveduto a estrarre i perni in ottone, sostituendoli con un nuovo sistema di ancoraggio meccanico inossidabile reversibile. Si è proceduto, inoltre, a un’accurata pulizia delle superfici ricorrendo a soluzioni solventi messe a punto a seguito di saggi preliminari.
Umberto Utro, Alessandro Vella, Massimo Bernacchi
Foto: copyright Musei Vaticani
Foto prima del restauro: Pietro Zigrossi
Foto dopo il restauro: Luca Giordano