Il Crocifisso collocato sull’altare maggiore della basilica di Santa Maria Novella proviene dalla chiesa di San Vincenzo d’Annalena in Oltrarno soppressa nel 1808. Depositato nei locali della Regia Accademia di Belle Arti di Firenze e trasferito nella cappella di San Luca nella basilica della Santissima Annunziata, fu donato nel 1861 alla basilica di Santa Maria Novella che era sprovvista di un Crocifisso da collocare sull’altare maggiore.
Guido Carocci, dubitativamente, assegna l’opera a Giambologna e ne apprezza la qualità. Walter ed Elisabeth Paatz la definirono un buon lavoro dell’inizio del XVI secolo. Giuseppe Richa la nomina nella seconda cappella a sinistra nelle Notizie Istoriche delle chiese fiorentine, il cui patronato era della potente famiglia Geraldini, originaria d’Amelia in Umbria. Margrit Lisner descrisse il Crocifisso come opera dal tronco ampio, dalla forte inclinazione delle gambe, ponendosi la domanda “se possa essere correlato a Baccio o Raffaello da Montelupo”. Ed è proprio l’esito del restauro finanziato da Intesa Sanpaolo che ci ha permesso di visionare l’opera da vicino e di ammirarla in tutta la sua bellezza, a indurci a confermare l’attribuzione a Raffaello Sinibaldi da Montelupo, che operò nella bottega del padre Baccio fino al 1524. L’assegnazione al giovane Raffaello è indotta dall’alta qualità dell’intaglio, dalla freschezza compositiva che rivela proporzioni anatomiche perfette, dalla cassa toracica ben sviluppata, dalla muscolatura elegante e raffinata nella levigata e classica serenità del volto dal setto nasale affusolato, dalle profonde orbite oculari, dalle labbra dischiuse che mostrano denti perfetti e lingua adagiata sul palato a denotare tutta la maestria dell’autore. Nato nel 1504, Raffaello fece un primo apprendistato nella bottega dell’orafo Michelangelo Brandini, per inserirsi successivamente nella bottega paterna fra i quattordici e i sedici anni. Lavorò nel 1520 con Maestro Giovanni da Fiesole a Carrara e l’anno successivo raggiunse il padre a Lucca, impegnato nella chiesa di San Michele in Foro al monumento funebre di Silvestro de’ Gigli vescovo di Worcester, per il quale il nostro scolpì una Madonna con il Bambino dal linguaggio asciutto e severo, dai volumi raffinati nella loro semplicità e dall’intima sensibilità espressiva che riscontriamo pure nell’opera domenicana. Nel 1522 è di ritorno a Firenze nella bottega paterna, dove “feci molti lavoretti in creta e Cristi in legno”, fra i quali possiamo annoverare il Crocifisso di Santa Maria Novella. L’opera presenta alcuni caratteri che ritroviamo nel Crocifisso scolpito nel 1536-1537 per le suore francescane del monastero di Sant’Orsola per la flessione delle gambe che mostrano ossute ginocchia erose dai colpi del supplizio, le tibie che si inarcano sotto la pressione del corpo e l’innaturale e forzata sovrapposizione dei piedi. Le braccia si inarcano e la testa ricade pesantemente sulla cassa toracica, non più in linea con l’altezza delle mani. Stilisticamente l’opera di Raffaello riprende caratteri presenti nei lavori di Baccio, quali il volto dal profilo allungato, l’incavo degli occhi dalle palpebre ampie, la morbidezza del modellato. Coevo alla scultura è il perizoma in tela gessata violacea, appena appoggiato sull’osso pubico, classicamente incrociato sul fronte, dal semplice fiocco che scende in una banda laterale. Raffinatissima la stesura del colore, compatto, dal craquelé minuto e dal freddo tono azzurro dovuto alla presenza dell’azzurrite che fanno di questa scultura un’opera dall’intensa bellezza e dal pathos intimo espresso dal capo ripiegato pesantemente sullo sterno, dalla postura delle gambe e delle braccia, dal corpo leggermente sbilanciato verso sinistra, dagli occhi socchiusi in cui si scorgono le pupille di un profondo colore scuro.
Si ringraziano i frati domenicani di Santa Maria Novella, la restauratrice Anna Fulimeni per la sua competenza e sensibilità, Ughetta Sorelli, archivista referente di Santa Maria Novella, Enrico Sartoni dell’Archivio Accademia del Disegno di Firenze, Laura Saccardi e Claudia Gisela Reichold.