L’opera in gesso rappresenta il modello per la pala marmorea dell’altare maggiore della basilica reale di Superga, commissionata da Vittorio Amedeo II duca di Savoia nel 1729 per celebrare la gloriosa battaglia di Torino (1706).
Nell’esecuzione del rilievo Bernardino Cametti seguì attentamente l’Instruzione di Filippo Juvarra che, oltre a fornire indicazioni precise in merito al soggetto, alla materia, alle dimensioni e alla messa in opera, individuava l’Incontro di Leone Magno con Attila di Alessandro Algardi quale modello esemplare da seguire.
Il confronto del gesso con il marmo, proposto per primo da Michael Wynne nel 1979, quando rintracciava l’altorilievo a Roma presso il Pontificio Collegio Irlandese, rivela differenze nell’orientamento di alcune teste, nel movimento delle braccia di certe figure, nella posizione del gruppo della Madonna con il Bambino e in generale nella maggior ricchezza di dettagli che caratterizza l’opera finale.
In occasione del recente restauro, l’attenta analisi dell’opera e lo studio della sua storia conservativa hanno permesso di saldare ancor più il legame del gesso con la pala della basilica di Superga, consentendo di riconoscere in esso il modello presentato dall’artista per l’approvazione definitiva del lavoro.
I saggi stratigrafici hanno rilevato la presenza, al di sopra della superficie originale, di numerose sovrammissioni, che appesantivano e ottundevano il modellato, alterando profondamente i rapporti spaziali e chiaroscurali. Al di sotto degli scialbi è emerso un rilievo di elevata qualità artistica e tecnica, realizzato con grande finezza e attenzione ai dettagli e che possiede, seppur in maniera meno accentuata rispetto all’opera finale, gli effetti pittorici che Cametti riuscì a conferire al marmo. Appaiono ora più evidenti la gradualità del rilievo e lo scalare dei piani in profondità, dal gruppo quasi a tutto tondo del beato Amedeo con la Vergine e gli angeli, alla scena meno rilevata della battaglia ai piedi della pala, fino al paesaggio della città di Torino, delineato graficamente sul fondo.
La corretta lettura dell’assetto compositivo e spaziale dell’opera è inoltre favorita dal recupero, grazie al restauro, dell’originaria cromia giallo ocra della cornice centinata, che doveva simulare nel modello di presentazione il giallo antico della cornice della pala marmorea.
Grazie ad alcuni elementi emersi dall’analisi delle tracce materiali dell’opera, si è ridotta anche la distanza sotto il profilo iconografico tra il gesso e l’opera finale. La diversa posizione tra le teste degli angioletti ai piedi del beato Amedeo è infatti da attribuire a un precedente intervento di restauro, che ha interrotto il dialogo tra le due figure, ideato da Cametti nel modello e ben visibile nella pala di Superga. Il mutato orientamento delle teste e la perdita della corona regia tenuta in mano da uno dei due putti impedisce nel gesso di cogliere il significativo rimando – recentemente sottolineato da Giuseppe Dardanello – al fallito tentativo dei francesi di ostacolare l’acquisizione del titolo regio al duca sabaudo.
Esposto per la prima volta in occasione della mostra Sfida al Barocco. Roma Torino Parigi 1680- 1750 nella Citroniera della Reggia di Venaria, l’altorilievo è attualmente conservato a Roma nel Pontificio Collegio Irlandese. A oggi non è noto quando e come sia giunto nel palazzo del Celio. La ricerca condotta presso l’archivio del Collegio non ha fornito in questo senso elementi chiarificatori. L’unica notizia certa, desunta dalle pagine del Manuscript Journal e in particolare da una fotografia che ritrae l’altorilievo alle spalle dell’allora rettore del Collegio Dominic Conway, è che l’opera nel 1967 veniva collocata nella parete di fondo del portico del palazzo, al posto di una statua della Madonna di Lourdes.