La piccola icona paleologa a mosaico appartiene a una tipologia estremamente rara, attestata oggi da circa una ventina di opere conservate in luoghi diversi. Tutte queste icone vantano inoltre una comune commissione imperiale costantinopolitana. In particolare, questo esemplare del Tesoro marciano è composto dalla figura intera del Battista, incorniciata da un motivo a losanghe con rosette ai quatto angoli, sempre a mosaico. Il soggetto è campito su fondo dorato e poggia sul pavimento costituito da una quadrettatura su nove file. L’icona presenta i tituli in campo azzurro, con lettere greche in parte abbreviate e in parte espresse in forma monogrammatica «O A(ghios) Io(anne)s»; «O Prŏdromos».
Una serie di convergenze formali avvicinano questa icona a un gruppo di opere affini tra loro, cronologicamente scalate nell’arco della prima metà del XIV secolo: in particolare al San Teodoro Stratilate dell’Ermitage di San Pietroburgo, al Dittico delle dodici feste del Duomo di Firenze, all’Annunciazione del Victoria and Albert Museum di Londra. Con queste opere la nostra icona presenta tante affinità formali da suggerire l’appartenenza dell’insieme alla mano di un atelier costantinopolitano diretto da un medesimo magister musivarius attivo al tempo dell’imperatore Andronico II Paleologo. Il micromosaico veneziano, così simile stilisticamente e qualitativamente al dittico fiorentino, presenta un’iconografia sinistrorsa della figura intera in veste orante o nell’atteggiamento dell’intercessione. Tale posizione farebbe supporre che non si tratti tanto di una icona portatile autonoma, ma piuttosto del settore destro di un più ampio complesso figurativo, costituito da un trittico portatile raffigurante la Déesis.
Il micromosaico risulta oggi lacunoso nel settore centrale della figura, della quale rimangono solo il busto, una mano, i piedi, oltre al contorno e ai lembi inferiori della veste. Le lacune non sono recenti. Le lamine della camicia, che erano state montate impropriamente nel corso di un precedente restauro, mostravano le superfici metalliche completamente alterate dalla diffusa solforazione dell’argento. Sono state quindi smontate, pulite con tamponi di cotone imbevuti di veri solventi e con l’impiego di carbonato di calcio e petrolio rettificato; dopo i consueti lavaggi con acqua deionizzata, le parti metalliche sono state disidratate a vapore d’aria calda e le superfici protette con resina nitrocellulosica. Si è quindi passati a trattare il tessuto musivo, che è stato preconsolidato con infiltrazioni di resina acrilica in soluzione blanda, a pennello. Le tessere sono state pulite con microtamponi imbevuti di solventi organici. I margini della grande lacuna centrale e di quelle più piccole sono stati colmati con una miscela di polvere di legno e resina acrilica emulsionata. La lacuna centrale del tessuto musivo è stata lasciata a vista, curando solo di pulire e patinare leggermente la superficie lignea. La tavoletta di supporto alle tessere musive e alla cornice è stata pulita e trattata per spennellatura con un prodotto tarmicida. I fori delle vecchie chiodature e dei tarli sono stati stuccati con polvere di legno miscelata a resina acrilica ad alta concentrazione. Infine le lamine d’argento sono state riposizionate sulla cornice, più distanziate rispetto alla loro precedente disposizione. L’icona e la cornice sono poi state inserite in una scatola, appositamente costruita, in legno di balsa rivestito all’esterno in essenza di pero, entro la quale è stata inserita l’icona, permettendo in tal modo la perfetta inchiodatura dei bordi metallici della cornice. Alcuni frammenti di seta bianca, che erano stati recuperati durante lo smontaggio della cornice, sono stati conservati adagiandoli all’interno della nuova scatola di protezione dell’icona.
Redazione Restituzioni