La soluzione compositiva del dipinto corrisponde a una formula molto nota, fondata sullo schema della scalinata che taglia in diagonale lo spazio. In cima incontriamo la figura del doge, che porta il caratteristico berretto dogale. Una lettera scivola fra le mani dei personaggi sottostanti: i notai vicentini che nel foglio trovano la conferma imperiale dei propri privilegi. Un personaggio spicca fra tutti: l’uomo in armatura sul lato destro, in piedi sul primo scalino e ripreso di profilo, che va identificato con un condottiero, forse rappresentante dell’autorità imperiale. Sullo sfondo l’architettura si staglia contro il cielo azzurro, unica fonte di luce che attenua la tonalità bruna dominante.
Il contenuto del dipinto, di natura dichiaratamente politica, è in sintonia con il contesto originario dell’opera: il Palazzo del Podestà di Vicenza, luogo simbolico del potere civile.
L’opera faceva parte di un ciclo decorativo realizzato dalla bottega dei Maganza fra 1588 e 1629. Come ci conferma anche la visuale del sotto in su, la tela era destinata a un soffitto: si collocava infatti insieme ad altre otto tele nel soffitto del Tribunale dei Presidenti dei notai. Citata da Boschini nel Seicento come opera di Fasolo, già Ridolfi nel 1648 la assegnava correttamente a Maganza. Bisogna tuttavia precisare che si tratta di un lavoro della bottega, come del resto testimonia la diseguaglianza di esecuzione. Da una parte risaltano, infatti, le buone soluzioni di alcune teste, riconducibili al capo bottega Alessandro; dall’altra, la fiacca definizione dell’episodio in secondo piano, caratterizzata da pose convenzionali e da una stesura pittorica poco elaborata, evidenzia l’intervento della bottega.
La tela originale, costituita da tre porzioni cucite insieme, si presentava solcata da numerose lacerazioni di media e piccola entità. Momento fondamentale del restauro è stata dunque la fase dalla nuova foderatura, posta ad appianare, per quanto possibile, alcune gravi deformazioni che interessavano la tela. Altro passaggio significativo è stata la sostituzione del vecchio telaio con uno nuovo di alluminio a tensionamento costante, in grado di assecondare e controllare tali deformazioni.
L’intervento ha inoltre compreso la pulitura della superficie pittorica, intaccata da lacune di colore e da vecchi interventi di restauro, e la rimozione dello spesso strato di depositi atmosferici e vernici ossidate. Nei punti più lacunosi sono state effettuate stuccature e reintegrazioni pittoriche, lasciando in vista le parti non più ricostruibili, per le quali si è rivelato più opportuno un semplice abbassamento di tono.
Redazione Restituzioni