Presso il Museo Nazionale di Ravenna si conservano alcuni spatheia interi e numerosi frammenti recuperati dal tetto del cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia. Due furono recuperati nel 1899 durante i lavori di restauro condotti sotto la direzione di Corrado Ricci (invv. 12197-12198). I restanti, nel maggio del 1877 durante lavori intrapresi nel 1865 sotto la direzione del Genio Civile.
Sulla base della testimonianza diretta di Corrado Ricci e della documentazione grafica dell’epoca, le anfore, ≪di diverse dimensioni≫ e ≪tenute insieme dalla calce sino a formare i vari declivi delle falde del tetto ≫, erano collocate nei ≪rinfianchi, cosi della cupola come delle volte≫ del sacello; al di sopra dello strato di calce che le copriva, erano state ≪fissate […] premendo alquanto mentr’era ancor molle… le tegole≫, le cui impronte resero possibile condurre il ripristino della copertura moderna del tetto. Secondo Ricci, in alcune delle anfore ≪rimanevano turaccioli di sughero spalmati di un cemento sottile su cui [erano] impressi motti e lettere, non sempre leggibili≫. Gli spatheia erano recipienti prodotti nella regione Mediterranea corrispondente all’odierna Tunisia, dal corpo fusiforme lungo e stretto, con orlo espanso, anse a nastro impostate sul collo e sulla spalla, quasi aderenti al collo, anch’esso espanso, e il puntale pieno. In genere presentano la superficie esterna rivestita da una ingubbiatura bianco-giallognola, talvolta assai spessa, in altri casi diluita. Diffusi dal IV al VII secolo, servirono prevalentemente per il trasporto di prodotti di eccellenza come profumi, unguenti, salse, vini pregiati. È il gruppo di anfore meglio documentato nell’abitato di Classe (Ravenna) per il periodo compreso fra i secoli V e VII, con pezzi di dimensioni contenute fra i 55 e i 90 cm di altezza. La più consistente concentrazione di siffatti oggetti è stata rimessa in luce in un magazzino per lo stoccaggio delle derrate (edificio 17) scavato nel 2004-2005, che si trovava a ridosso del canale principale dell’abitato e che andò distrutto da un incendio tra la fine del V e gli inizi del VI secolo.
Come accadeva comunemente per ogni tipo di anfora, anche gli spatheia furono reimpiegati con scopi diversi da quelli per i quali erano stati fabbricati. Spesso, grazie alla forma affusolata, furono utilizzati per le tubature. Con maggiore frequenza gli spatheia sono documentati nell’edilizia con la funzione di alleggerire il peso dei rinfianchi superiori delle volte e delle cupole, secondo una pratica particolarmente diffusa sin dall’antichità. Nell’edilizia di culto tardoantica, l’uso delle anfore è documentato nella cupola del battistero di Albenga, in quelle dei sacelli di San Simpliciano, Sant’ Ippolito e Sant’Aquilino di Milano, e in altre fabbriche ravennati, come ad esempio, la cupola del Battistero degli Ariani, in cui spatheia furono individuati nel 1838, secondo la testimonianza di Antonio Tarlazzi che pote assistere al ritrovamento. Il recupero di queste anfore ha portato a riflettere sul mantenimento degli interventi di inizio Novecento, che raccontano la storia del restauro nella città che in passato ha apportato un grande contributo alla conservazione del patrimonio artistico italiano.
Paola Novara