I frammenti di vetro furono ritrovati in due momenti, nel 1905 e nel 1930, nel corso dei restauri della basilica di San Vitale. La chiesa, la più ricca e significativa di Ravenna, fu realizzata nel secondo venticinquennio del VI secolo e consacrata dall’arcivescovo Massimiano nel 547.
Il primo gruppo di vetri fu rimesso in luce in un ripostiglio sotto l’arcosolio destro dell’altare, trasformato in una tomba nel Medioevo e tamponato nel Cinquecento nel corso di imponenti lavori di ristrutturazione dell’edificio promossi dai monaci benedettini, che vi risiedevano dal X secolo. Poco dopo il ritrovamento i materiali, riconducibili a dischi policromi, furono ricomposti, quando possibile, collocati entro supporti di legno ed esposti nelle sale del Museo Nazionale. Nel 1930, poco prima della conclusione dei restauri, un altro gruppo di vetri fu trovato ai piedi di un muro all’esterno della chiesa. Al momento della scoperta non fu precisato il luogo presso il quale furono recuperati i pezzi e solo successivamente Giuseppe Bovini localizzò il ritrovamento lungo la parete absidale.
Il nuovo nucleo di frammenti non fu preso in considerazione per l’esposizione e venne posto in deposito. Solo di recente è stato revisionato in modo definitivo.
I frammenti, che non presentano differenze in relazione al contesto di ritrovamento, possono essere ricondotti a tondelli di colore verde, blu, rosso, giallo e bianco.
Il primo gruppo di materiali rintracciato ha restituito ventisette dischi, spesso incompleti, di dimensioni che vanno da 18-19 cm a 21-21,3 cm fino a 24-25 cm. Solo un pezzo ha il diametro di 16 cm. Gli spessori variano entro 0,2-0,3 cm. Sono presenti tutti i cinque colori, ma prevalgono il rosso e il bianco.
Un tondello mostra caratteristiche uniche, in quanto reca le tracce di una decorazione a grisaglia raffigurante il Salvatore barbato benedicente, seduto sul trono in maestà. A sinistra della testa del Redentore campeggia la lettera apocalittica alfa sormontata da una croce; dell’omega rimane solo una piccola traccia. Alla destra del Salvatore si notano i resti di una S abbreviata (Sanctus) che fanno presumere la presenza, nel primitivo disegno, di un personaggio, cui se ne doveva contrapporre un altro a sinistra.
I frammenti ripresi recentemente non vanno a formare, se non raramente, dischi completi. Non è da escludere che nella cassa, priva di qualsiasi indicazione più precisa, fossero posti non solo pezzi pertinenti al secondo ritrovamento, ma anche materiali frammentari relativi al rinvenimento del 1905.
La recente analisi dei materiali ha permesso di isolare almeno altri trentasette dischi, di cui venti di colore bianco, sette di colore verde, quattro di colore rosso, uno giallo e cinque blu. I diametri vanno da 18-21 cm a 24-26 cm fino a 28-31 cm; gli spessori variano entro 0,2-0,3 cm.
La cronologia di realizzazione dei dischi, problema che ha destato l’interesse degli studiosi sin dal primo ritrovamento, è ancora oggetto di discussione. Gli specialisti si sono divisi in due correnti: da un lato chi li ritiene appartenenti alle finestre della chiesa sin dalla fondazione, pertanto del VI secolo, dall’altro chi li vorrebbe realizzati nell’Alto Medioevo, soprattutto sulla scorta della considerazione che la lavorazione a grisaglia, che caratterizza uno dei tondelli, fu impiegata prevalentemente in età carolingia.
Un ulteriore tema in discussione, che si intreccia per alcuni aspetti al precedente, riguarda il tipo di supporto impiegato e il primitivo sistema di fissaggio dei tondelli. Le indagini archeologiche hanno chiarito che le tecniche impiegate erano due: in un caso i vetri potevano essere incastrati e incollati entro scassi, in genere circolari, realizzati su telai costituiti da transenne di stucco o di pietra; parallelamente è noto l’uso di armature di legno nelle quali i vetri erano ospitati entro spazi di forma quadrata o rettangolare.
Allo stato attuale delle ricerche, in attesa di nuove indagini, le due questioni sono ancora aperte.