Il gruppo di anelli e gemme conservati dal Museo Nazionale Atestino di Este ha una grande importanza documentaria. Il confronto con i ritrovamenti di altri scavi archeologici dell’Italia settentrionale ha permesso di constatare non solo la rarità di questa classe di materiali, ma anche la prevalente destinazione funeraria. Gli esemplari di epoca romana qui sottoposti a restauro coprono un arco temporale compreso tra la seconda metà del I secolo a.C. (n. 5 e n. 12, n. 10 e n. 9) e il II secolo d. C. (n. 7 e n. 8), mentre ad epoca altomedievale è riferibile l’anello composito (n. 14).
Gli anelli sono per lo più di metallo con verghetta ellittica vuota o piena e castone più o meno sporgente, secondo una tipologia che ebbe la sua maggior diffusione nella prima e media età imperiale. Nella quasi totalità dei casi è utilizzata nel castone una pietra dura pregiata ma non rara, in tinta uniforme traslucida o trasparente (corniola e ametista), o anche opaca (nicolo), con intagli di varia qualità. Alla tradizione classica ed ellenistica si rifanno i temi iconografici: figure di divinità stanti o sedute (Atena, Minerva, Roma), loro ritratti (Apollo, Minerva), o attributi (Mercurio); figure di animali (lupa/pantera, topo, crostacei, lotta tra animali); scene bucoliche (filosofo in meditazione). Si tratta in sostanza di scelte che si collocano tra tarda repubblica e principato augusteo: uno spiccato carattere propagandistico è in effetti presente in tutta l’arte ufficiale del periodo. La personificazione della Vittoria o l’aquila di Zeus con la palma dei vincitori richiamano la forza dell’Urbe e delle sue legioni in un territorio, quello atestino, legato agli esiti della vittoria di Azio. Si può dunque pensare che gli acquirenti principali di questo genere di suppellettili fossero veterani dell’esercito stabilitisi in queste zone. Tra tutti i reperti qui presentati alcuni spiccano per pregio e qualità. L’intaglio dell’anello (n. 3) raffigurante un cavallo di profilo e un cavaliere che tiene nella destra un’asta e nella sinistra le redini; l’anello (n. 10) su cui è incisa la figura di un uomo con himation (mantello) avvolto attorno alle gambe, seduto in meditazione su una testa (si tratta di Asclepio?) sorretta da un bastone. Tra le gemme, di particolare rilievo l’ametista (n. 15) in cui è raffigurato un satiro che suona la lira davanti a un’ara posata su una roccia con un’immagine sacra e un ramo fronzuto sullo sfondo; la corniola (n. 20) in cui è incisa una Vittoria alata su un piedistallo che porge una corona a Atena-Minerva-Roma, seduta con elmo, lungo peplo ed asta in mano. La grande gemma in vetro (n. 21) doveva invece essere impiegata come pendaglio di collana montato su metallo, oppure far parte dei manufatti di lusso di un collezionista. Non chiari invece il significato e l’uso dei due anelli in ambra (nn. 7 e 8): il primo decorato a solcature oblique e con busto di donna; il secondo con un profondo castone rotondo, adatto forse a ospitare qualche sostanza o piccolo oggetto. Pur non escludendo una funzione digitale, la presenza di queste tipologie in corredi funebri femminili potrebbe alludere a un’intima connessione con un simbolismo magico in cui convergono il genius della defunta, il rapporto tra il cerchio e il concetto di eternità, il senso dell’offerta agli dei inferi, le virtù attribuite alla preziosa resina fossile.
Lo stato di conservazione delle gemme risultava discreto. Si è in ogni caso proceduto con una pulitura con alcol e tensioattivo per la rimozione dei depositi terrosi o delle concrezioni calcaree. Gli anelli di ferro sono stati trattati con fresette, bisturi e microsabbiatrice per la rimozione dei prodotti di corrosione; sono stati poi trattati con inibitori e consolidati con Paraloid. Gli esemplari in argento, in bronzo e quello in oro sono stati sottoposti ad una pulitura molto leggera. Il restauro ha consentito nel complesso una migliore lettura dei temi iconografici dei singoli pezzi.
Redazione Restituzioni