Già un inventario del 1794 definisce efficacemente l’opera come “il quadro esprimente un bel Giovine vestito alla Dalmatina del Paolotto…”. L’appellativo di Paolotto indica l’autore, Vittore Ghislandi detto Fra’ Galgario. Il dipinto appartiene a quel genere di “teste capricciose”, caratterizzate da camicia slacciata, mani sui fianchi, capelli incolti e bizzarri copricapi, che avevano ben contribuito alla fama del pittore, come narra un critico bene informato come Tassi (nelle Vite de’ pittori, scultori e architetti del 1793). Molti critici si soffermano sulla naturalezza e sulla freschezza di questi ritratti, che testimoniano dell’interesse per la pittura di Rembrandt. La conoscenza dell’artista olandese era mediata da un lato dall’influsso di Salomon Adler e di Johann Kupetzky, dall’altro dai contatti con l’ambiente veneziano in cui in quegli anni il fascino per le opere di Rembrandt era particolarmente sentito.
L’opera in esame si rivela affine per tipologia e caratteri stilistici ad una serie di teste di giovane situabili poco prima o all’interno del terzo decennio del Settecento, come il Giovinetto con medaglia, il Giovinetto in rosso, l’Allegrezza, il Giovinetto pittore ecc. e soprattutto con il Giovinetto con tricorno appartenente a una collezione privata bergamasca. Tipici di questa fase dell’attività del frate bergamasco sono tra l’altro la pastosità degli incarnati, con liquide ombreggiature che conferiscono profondità e rilievo; l’ovale di fondo illuminato; la resa naturalistica dei particolari; la sincerità espressiva che rende presente e vitale il personaggio. Tratto proprio dell’artista è inoltre l’accordo cromatico, basato sull’accostamento dei toni diversi di bruno con il blu oltremare e il rosso della lacca. La materia è resa così per successive velature fino ad ottenere un’inconfondibile armonia cromatica.
Il dipinto è stato sottoposto ad una pulitura preliminare che ha asportato la polvere e parte delle vernici protettive ingiallite con l’ausilio di miscele solventi scelte in base a tests di solubilità e applicate ad impacco e a tampone. Si è poi proceduto a velinare la superficie del colore e alla foderatura con colla di pasta. Dopo il montaggio su un nuovo telaio, resosi necessario per rendere più stabile l’opera, la pulitura è stata rifinita con l’aiuto anche di mezzi meccanici. Tutte le lacune e le discontinuità lungo i bordi ripristinati sono state stuccate e reintegrate pittoricamente seguendo un criterio mimetico, con una tecnica a velatura. Sul dipinto è stato infine nebulizzato un sottile film di vernice per proteggere la superficie e ristabilire una riflessione omogenea.
Redazione Restituzioni