Il restauro qui descritto è strettamente correlato a quello del Gesù Bambino in trono dormiente proveniente dalla chiesa di Laconi – curato direttamente dalla Soprintendenza e diretto da Maria Passeroni – e costituisce un’importante occasione di confronto metodologico e di riflessione operativa intorno al restauro conservativo di opere scultoree eseguite a estofado de oro, ossia intagliate, quindi dorate, graffiate e policromate. Per quanto riguarda specificamente le statue di Sant’Agostino e San Michele arcangelo, la XIX edizione di Restituzioni rappresenta l’occasione di osservarle da vicino e in rapporto alla cultura artistica d’origine, fatto assai significativo, poiché recentemente lo studioso Pierluigi Leone de Castris, nella sua monografia di recente pubblicazione, le ha assegnate alla mano dello scultore napoletano Aniello Stellato. Noti e celebrati da subito, i due pregevoli simulacri cagliaritani costituirono nel tempo modello e riferimento per la successiva produzione locale, talora attardata e di minore qualità. Il Sant’Agostino, raffigurato in abiti vescovili, si erge monumentale, reso dinamico da un sapiente ricorso all’appoggio del peso sulla gamba sinistra, con riscontro a chiasmo in cui il braccio opposto è sollevato nell’atto di reggere il pastorale. Dettagli ornamentali tardomanieristi (fermaglio del manto, decorazioni della mitra, fibbia della cintura) non contrastano con l’intenso naturalismo del volto e della barba, accentuato dal pathos di un’espressione formale protobarocca di altissima qualità. La damaschinatura della veste, su fondo bruno, presenta quadrilobi, mentre il mantellino è a ramages vegetali. Non si hanno documenti per stabilire con certezza la paternità dell’opera, ma sia Maria Grazia Scano sia Pierluigi Leone de Castris l’hanno in passato messa in relazione con il bel San Macario di Ghilarza, eccellente scultura lignea dagli evidenti richiami romani di fine Cinquecento e primo Seicento, e oggi de Castris attribuisce il Sant’Agostino convintamente ad Aniello Stellato, ricostruendo la figura complessa dell’artista partenopeo.
Si deve alla collaborazione tra il doratore napoletano Giuseppe De Rosa e lo scultore Aniello Stellato la realizzazione nel 1620 (documento di luglio) del San Michele arcangelo per la chiesa dei Gesuiti di Cagliari. È certo Aniello, titolare di una bottega affermata che lavorava specialmente per la committenza religiosa, in particolare gesuitica, l’autore della scultura cagliaritana, vicina nei modi agli Angeli custodi delle chiese del Gesù Nuovo e di San Domenico Maggiore a Napoli – ormai concordemente attribuitigli –, opere con le quali il San Michele condivide la postura, la coloritura al naturale del volto e degli arti, una certa memoria dell’antico nei dettagli suntuari, quali la capigliatura e i calzari. Il santo guerriero è loricato e con risolutezza atterra il demonio sconfitto: prova di vera bravura scultorea, Satana è un mostro dalle spire di serpente, ghignante in una scena dai dettagli grotteschi, orrorifici, altamente educativi nella Chiesa postridentina, che al culto degli angeli indirizzava i fedeli, soprattutto i giovani.
La corazza è ben scolpita, al di sotto si apre il corto gonnellino come mosso dal vento, elegantemente damaschinato in oro su fondo bianco, a disegni minuti; la lorica invece presenta ampi decori fitomorfi in oro su fondo verde scuro, mentre le frange alternano il cinabro al blu. Le due sculture, che dialogano da vicino in una comune ricerca di espressività del viso e del gesto, mentre l’estofado irradia luce nello spazio e ne costituisce aura di santità, dopo il restauro – volto al minimo intervento necessario e reversibile e in entrambi i casi condotto a oltre due decenni dal precedente – hanno guadagnato limpidezza nella cromia in primo luogo e, volutamente, lucentezza della damaschinatura e della doratura, che tanto qualifica il manto del Sant’Agostino.