Il fronte del sarcofago sviluppa su tre livelli una narrazione che procede da destra a sinistra, bipartita da un pilastro istoriato da quattro amori apteri (senza ali), secondo un prima e dopo evento, con i protagonisti Adone e Venere replicati per due volte. La prima scena si svolge in una foresta, delineata da un olivo sul quale è appollaiata un’aquila acefala con la preda tra gli artigli. La seconda scena è ambientata in un interno, caratterizzato da una cortina che ha il ruolo di enfatizzare la posizione dei due innamorati. Tutto l’impianto figurativo è equilibrato attraverso il ricorso della distribuzione dei personaggi principali e dei comprimari con un andamento alternato delle posture ora a sinistra e a destra, mantenendo inoltre un contrappunto delle teste mediante un’asimmetria funzionale a suggerire un movimento fluido del racconto. Seduto su una roccia, Adone disarmato della lancia è stato già ferito alla coscia sinistra dal cinghiale, mentre sopraggiunge Venere ai cui piedi resta parte dello scettro che doveva reggere nella mano destra. Nel secondo scomparto Adone siede con Venere su uno scranno provvisto di poggiapiedi; presso di lei e un amorino, altri due stanno fasciando la gamba sinistra del giovane, dopo averla lavata e medicata come indica la presenza a terra di un bacile. Assistono all’evento il cane accucciato, attributo del pastore Adone, e cinque figure maschili barbute nelle quali sono state riconosciute in tutto o in parte i ritratti dei cacciatori di destra. La narrazione posta in atto nella lastra marmorea non ci fa intravedere il tragico finale raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi (X). Nonostante le cure Adone muore e Venere potrà solo donare all’amato una nuova vita, trasformandolo in un anemone, mentre dal sangue della dea ferita dai rovi, nel tentativo di soccorrerlo, nasceranno le rose rosse. Siamo davanti a un hieros gamos (dal greco ιερογαμία, ἱερὸς γάμος matrimonio sacro), alla rappresentazione della dea che va incontro all’umano, infatti anche sul fronte della lastra funebre Adone si ritrova nell’abbraccio di Venere. Proprio l’aspirazione a rifugiarsi nelle braccia divine spiega la fortuna del mito di Adone quale rappresentazione simbolica sui sarcofagi dell’anima che ritorna a Dio. Il tema dell’hieros gamos come forma dell’amore coniugale e del congiungimento tra umano e divino esprime l’annullamento della distanza tra terra e cielo, e rende possibile l’idea dell’eterno ritorno. Il fronte giunge nella collezione di Vespasiano Gonzaga tra il 1579 e il 1584, dopo un poco documentato, ma certo soggiorno romano. Nell’elenco dei rilievi marmorei prelevati da Sabbioneta il 19 novembre 1774 redatto da Antonio Maria Romenati, è descritto come un «Bassorilievo grande con molte Figure rappresentante una caccia» e, a Mantova, trova la sua collocazione nella nona campata del Museo dell’Accademia nel Palazzo degli Studi, fondato nel 1752 da Maria Teresa d’Austria. Ceduto in proprietà dallo Stato al Comune nel 1880 (Rogito Nicolini, n. 210), nel 1923 circa pervenne al Palazzo Ducale e negli anni Sessanta un nuovo ordinamento museale colloca il rilievo nella Sala di Troia. Per quanto lo stato di conservazione del fronte fosse discreto, si è resa necessaria un’accurata pulitura della superficie lapidea in moda da verificare la buona adesione dei numerosi rifacimenti in marmo antichi. Si è così recuperata la leggibilità del prezioso materiale, e la raffinata esecuzione.
Renata Casarin, M. Chiara Ceriotti