I due frammenti, rinvenuti a Pompei il 14 febbraio 1767 in uno degli ambienti del quadriportico annesso al Teatro Grande, furono staccati nel marzo successivo, dopo che Giovanni Morghen ne aveva eseguito il rilievo. Nonostante la successiva totale scomparsa degli intonaci, sappiamo che la decorazione delle pareti brevi di quell’exedra consisteva in ampi pannelli rettangolari rossi alternati a scomparti a fondo azzurro, inquadrati da colonne metalliche attorte. Negli scomparti erano dipinti complessi trofei di armi che proseguivano anche nel campo del sottostante zoccolo a fondo nero ornato, nei pannelli adiacenti, da cespugli di lunghe foglie lanceolate, rami di oleandro, bordi di tappeto e sottili ghirlande.
La scelta di raffigurare le armi fu evidentemente determinata dalla funzione che l’intero portico ebbe negli ultimi decenni di vita della citta, quella di Ludus gladiatorius, ossia di palestra e residenza dei gladiatori, come e documentato anche dai numerosi graffiti letti sugli intonaci dei suoi ambienti e delle sue colonne e soprattutto dal rinvenimento al suo interno delle numerose, splendide armi in bronzo.
Le armi dorate e d’argento, rese in giallo e in bianco, sono appese a un palo di cui si intravvede la base: tra scudi dalle diverse forme, disposti in verticale e in obliquo, sporgono spiedi, spade, elmi e si comprende subito che si tratta di armi gladiatorie per la presenza dei tridenti e del galerus propri dei retiarii, quei gladiatori che dovevano battere l’avversario solo con l’aiuto di una rete, e per la caratteristica degli elmi, nei quali le originarie alette paraguance si erano espanse fino a congiungersi sul davanti per proteggere completamente il volto, del tutto identici a quelli veri.
Nel frammento di cui rimane solo lo zoccolo (inv. 9694) si riconoscono una cnemis, lo schiniere che retproteggeva tutta la gamba compresa la coscia, e l’ocrea, protezione solo della gamba sinistra, con gli anelli per il passaggio delle corregge di cuoio necessarie a fissarla, proprie del mirmillo, il tridente e il galerus del retiarius che era difeso solo da tale spallaccio sistemato sulla spalla sinistra, per una parziale protezione della gola, forse un elmo senza tesa, con le griglie di protezione per gli occhi, raffigurato di profilo, e due gladii. Sulla cornice superiore, tra uno scudo ovale con rinforzo verticale e uno scudo rettangolare ornato da rilievi, e raffigurato frontalmente un elmo completamente chiuso sul davanti e con i fori circolari per gli occhi; la tesa ricurva e inflessa sui lati, con innesti per piume in corrispondenza delle tempie, ne indica la datazione all’eta flavia, perfettamente congruente con l’epoca di esecuzione del dipinto.
Nel frammento con lo scomparto a fondo azzurro (inv. 9702) si riconoscono dall’alto: due grandi scudi rettangolari, un gladio e un elmo visto di tre quarti, anch’esso a chiusura integrale e con i fori per gli occhi protetti da griglie; seguono altri due scudi rettangolari, uno dei quali del tipo con costolatura centrale e umbone, un fascio di tre giavellotti e una lunga spada in ferro. Un piccolo scudo d’argento (parma) con niellature d’oro si sovrappone a una lunga lancia e segna la cesura verso il gruppo di base costituito da due altri grandi scudi rettangolari, ricurvi e contrapposti, sui quali poggiano un elmo con visiera a tesa liscia e cimiero, una spada di ferro con elsa d’argento e una sica dalla grossa impugnatura, la tipica spada ricurva dei thraeces. La caduta del colore non permette di riconoscere con certezza le armi presenti nella parte piu bassa della composizione: forse un altro elmo di cui si distingue il cimiero rosso davanti allo scudo d’argento di sinistra, una spada curva poggiata sulla cornice di separazione dallo zoccolo, e un pugnale posto con la lama in verticale. Sul fondo nero dello zoccolo sottostante spiccano un’ocrea, dotata degli anelli per il passaggio delle corregge, raffigurata ritta come se fosse appoggiata contro la parete di fondo, una cnemis, sulla quale poggiano un elmo aperto in corrispondenza del viso, un pugnale d’argento con grossa impugnatura, un galerus d’argento e un tridente la cui lunga asta attraversa tutto il campo decorato.
Nell’affrontare il restauro di entrambi i masselli, si è scelto di non rimuoverli dai supporti lignei in fasciame di castagno sia per l’ottimo stato di conservazione del legno, sia per la sua proprietà di non essere attaccato da insetti xilofagi, sia per salvaguardare un ‘documento’ storico, trattandosi del supporto utilizzato al momento del distacco degli affreschi nel XVIII secolo. Si è proceduto alla rimozione meccanica delle integrazioni in gesso, alla pulizia della pellicola pittorica con applicazioni di formulato AB57 e applicazioni a tampone di ammonio carbonato in soluzione acquosa, quindi alla rimozione meccanica a bisturi dei vecchi strati protettivi di cera e vernice naturale. Le lacune sono state reintegrate con malta costituita da calce idraulica e polvere di marmo di varia granulometria a seconda dell’ampiezza delle lacune stesse; e stato eseguito il ritocco pittorico con colori ad acquerello, sulle grandi abrasioni e sulle stuccature delle microlesioni per ridare continuità cromatica e qualificazione estetica alla pellicola. Per la protezione finale è stata stesa una soluzione di resina acrilica disciolta al 3% in acetone.
Valeria Sampaolo
Foto: Gennaro Morgese (SSBA Napoli)