Nella chiesa di San Pietro martire, ad Alzano Lombardo (Bergamo), si conservano due teleri di medesimo formato raffiguranti la Flagellazione di Cristo alla colonna e Cristo nell’orto di Gethsemani, di recente assegnati ad Andrea Vicentino e a Giovanni Contarini, senza peraltro alcuna verifica circa la loro provenienza. Le opere, non citate nelle fonti d’archivio né menzionate nella bibliografia locale, a eccezione di Angelo Pinetti, che nei suoi appunti manoscritti preparatori all’Inventario degli oggetti d’arte pubblicato nel 1931 ne riconobbe le notevoli ≪qualità≫, proprie della scuola veneziana degli inizi del Seicento, sono apparse prive di riscontri con la storia artistica del luogo, sì da far supporre una loro provenienza da una chiesa o convento extra il territorio di Bergamo.
L’ipotesi ha trovato conferma nella verifica del dipinto di Giovanni Contarini con Cristo nell’orto di Gethsemani, sul cui retro e stata rinvenuta un’iscrizione antica, redatta con un pennello: ≪San Nicoletto de’ Frari N.° 14≫, da identificarsi con la chiesa veneziana di San Nicolo dei Frari, conosciuta anche come San Nicoletto della Lattuga, appartenente al convento dei frati minori francescani, soppresso nel 1806. Fondata nel 1332 dal procuratore di San Marco Nicolo Lion, ricostruita e consacrata nel 1582, la chiesa era dotata di un ricchissimo apparato di dipinti, in gran parte dedicato alla Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, che andò disperso dopo la demolizione dell’edificio intorno al 1830, tra cui assai famose erano le tele commissionate a Paolo Veronese e alla sua cerchia. Marco Boschini, in Le ricche miniere della pittura veneziana (1674), ne rilasciò una dettagliata descrizione, segnalando in controfacciata e vicino l’organo, un ≪Christo alla Colonna≫, ritenuto di mano di Benedetto Caliari, e un ≪Christo all’Horto≫ di ≪Carletto Caliari≫, da identificarsi con i dipinti finiti ad Alzano Lombardo. All’indomani della soppressione del convento, nel 1806, Pietro Edwards, per conto del governo francese, registro a sua volta la collocazione delle opere di San Nicoletto: a sinistra dell’ingresso della chiesa e dopo l’organo, era un ≪Cristo Flagellato alla colonna≫ riferito a Benedetto Caliari e al di sopra dell’altare del Crocefisso un quadro con l’≪Orazione di Cristo all’Orto≫, dato a Carletto Caliari. Nel patrimonio di ben sessantadue opere della chiesa, solamente ventotto furono scelte per essere destinate al demanio, tra cui non figurano le tele del Vicentino e di Contarini, certamente immesse sul mercato e acquistate con il sistema delle vendite all’asta.
Gli ignoti acquirenti del Vicentino, certo in modo del tutto casuale, scelsero un artista rappresentato in bergamasca da ben nove dipinti, che attestano la predilezione della committenza locale per un autore dalle abili capacità narrative, capace di comporre scene affollate di personaggi dai gesti caricati e retorici, derivanti da collaudati schemi d’impronta veronesiana e palmesca. A differenza di alcuni esemplari che paiono rivelare un ampio intervento della bottega, il telero di Alzano spicca per l’eccellente qualità pittorica, affidata all’originale impianto scenico, con una scomposizione di piani corrispondente alla rappresentazione di due momenti cronologicamente distinti. Al centro, una duplice monumentale arcata, di gusto palladiano, introduce lo sfondo del palazzo marmoreo di Pilato, dalla cui finestra si affaccia Cristo mostrato alla folla, vestito del mantello purpureo, le mani legate e il capo cinto dalla corona di spine. In primo piano è già in atto la flagellazione ordinata da Ponzio Pilato, che a sinistra assiste al supplizio: Cristo, coperto soltanto di un perizoma, le braccia legate da spesse corde alla colonna marmorea, è percosso da due soldati romani in lorica e divisa militare, in atto di colpirlo con sferze e cinghie, dalle esasperate torsioni muscolari, secondo l’artificiosa schematizzazione anatomica tardo manierista, tipica di Vicentino. La dimensione quasi visionaria della scena svela la stretta aderenza dell’opera alla lezione del Tintoretto, cui rinviano anche elementi di tecnica esecutiva, come la preparazione scura di tono marrone, la pennellata compendiaria e corsiva, con veloci stesure di pigmento dato a corpo, la debole presenza di un disegno preparatorio che s’intravede solo sul retro della tela. Il ricercato luminismo del dipinto, tra bagliori improvvisi e contrastati giochi chiaroscurali, conferma il debito del Vicentino anche nei confronti dei Bassano, in particolare di Francesco.
In condizioni decisamente precarie, il dipinto di Alzano si presentava assai guasto dalle diffuse e capillari rotture e dai sollevamenti di colore, probabilmente verificatesi a seguito dei numerosi trasferimenti dell’opera, causa di inadeguati arrotolamenti della tela. A un intervento conservativo non documentato, forse degli inizi del Novecento, si devono le aggressive operazioni di pulitura, che hanno causato ampie svelature, soprattutto nella zona centrale, e le molte integrazioni cromatiche eseguite con colori a olio. La pulitura odierna, condotta con grande cautela, ha messo in luce il felice impasto cromatico del testo pittorico, derivante dagli accostamenti di materiali di grande pregio, come il giallo zafferano, composto di orpimento e ocre, profuso in vesti e copricapi, i rossi violacei, resi brillanti dall’uso delle lacche, i verdi in diverse gradazioni, ravvivati da profili dorati, il blu intenso ottenuto dal costoso lapislazzuli. Le integrazioni delle numerosissime lacune, eseguite con modalità del tutto riconoscibili e nel pieno rispetto dell’originale, hanno garantito il recupero di un’equilibrata lettura d’insieme e l’inedita visione di dettagli e di figure prima non percepibili, tra cui i particolari dell’arredo urbano e i ricercati costumi di scena, impreziositi da monili e arabeschi che esaltano la consistenza delle stoffe. Vicentino, libero da costrizioni formali, dà il meglio di se in un testo sacro che voleva confrontarsi e forse rivaleggiare con i grandi esempi di Paolo Veronese e di Palma già allogati nello sfavillante scrigno di San Nicoletto.
Amalia Pacia