Raffiguranti la Madonna con il piccolo Gesù, i Re Magi e il loro seguito di paggi, pastori e pastorelle, giovani e vecchi contadini con i loro feltri e i loro abiti sgualciti e poi ancora armenti e pecore, queste silhouette formavano un Presepe di cui è irreperibile la scena principale della Natività. Fu quasi certamente commissionato da Giacomo Mellerio senior, facoltoso esponente della nuova aristocrazia milanese settecentesca, per essere allestito al tempo di Natale in una delle sue magnifiche dimore, tra cui il palazzo di corso di Porta Romana a Milano, fatto trasformare in forme neoclassiche da Simone Cantoni (1772-1775), e il cosiddetto “Gernetto” presso Lesmo, amena villa sui colli briantei dove il nobile era solito trascorrere la villeggiatura. Qui lo poté ancora ammirare nel 1934 Lina Böhm, che nel suo saggio monografico su Francesco Londonio lo riconduceva alla mano dell’artista.
Come di Londonio il Presepe è poi passato attraverso le maglie della critica successiva, che dell’arte di questo “elegante divulgatore di temi pastorali” ha ormai messo a fuoco le componenti più significative, compresa la particolare adesione a quell’indirizzo realistico a suo tempo individuato da Roberto Longhi come una costante della storia della pittura lombarda.
La mano dell’artista si rivela nel gruppo mariano, nei Magi offerenti e nelle altre comparse variate nelle posture, ma allo stesso modo segnate da sguardi di curiosità e stupore e condotte con fresca ispirazione e facilità discorsiva. A osservare queste e le altre figurine, risulta evidente come Londonio proceda quasi per meccanica contrazione delle formule e degli schemi a lui più cari, riproposti con lo stesso sentire e la medesima vena interpretativa dei lavori di maggiore impegno. Non sappiamo se la realizzazione di presepi di carta fu per lui una sorta di passatempo, un esercizio a margine della sua più impegnativa attività. Vero è che questi manufatti, a volte liquidati come “arte minore”, sono capaci di esprimere tutte le peculiarità del suo linguaggio, spesso ripetitivo, a volte intercambiabile e al limite del seriale, ma anche sostenuto da solide basi tecniche e da un’inedita e personalissima rappresentazione della realtà agreste.