La formella marmorea, di forma quadrata, presenta un rilievo raffigurante un elefante in cammino. L’animale è circondato ai fianchi da una fascia decorativa a motivi geometrizzanti ed è cavalcato da due guerrieri nudi e armati, uno con la spada e uno con la lancia, ambedue con lo scudo.
La provenienza originaria del pezzo è ignota, ma alcuni indizi, come il tipo di marmo utilizzato e il disegno arabizzante della fascia dell’elefante, rimandano all’area mediorientale. È plausibile che la formella, realizzata forse nel XII secolo, fosse giunta a Venezia, come molti marmi greci e mediorientali, per essere successivamente riutilizzata negli edifici cittadini con funzione di supporto o di decorazione; immessa in seguito sul mercato, fu acquistata dal barone veneziano Giorgio Franchetti, che nel 1984 comperò la Ca’ d’Oro, famosa dimora quattrocentesca di Venezia, per collocarvi la sua raffinata collezione di opere d’arte.
L’elefante è noto in Europa fin dalla spedizione di Annibale in Italia nel corso della seconda guerra punica (III secolo a.C.). La conoscenza iconografica dell’animale, che nel Medioevo compare in bestiari, dipinti, bassorilievi e mosaici, si arricchì grazie agli appunti di mercanti e viaggiatori e alla diffusione di monili, avori, tessuti o altri oggetti in cui esso era raffigurato. L’autore del rilievo poté con ogni probabilità prendere a modello un elefante (asiatico e non africano, come dimostrano l’altezza e la dimensione delle orecchie ridotte) effigiato su qualche oggetto o tessuto; ma alcune ingenuità nella rappresentazione denunciano vaghezza sulle informazioni o interpolazione di notizie diverse – ad esempio, la coda lunga dell’elefante, le zampe simili a quelle di un ungulato, mentre l’usanza di combattere nudi, come si vede nei guerrieri della formella, era probabile presso alcuni popoli africani ma non riconducibile ad alcuna popolazione mediorientale. Infine, si ipotizza che il marmo facesse parte di una decorazione a soggetto narrativo e che raffiguri l’episodio di una storia forse leggendaria, non direttamente nota all’artista.
La superficie del reperto, poiché appariva erosa e molto fragile, con rischi di cadute di materiali, è stata consolidata con resina acrilica; una velina di carta giapponese è stata interposta tra la resina e il marmo, per non farla penetrare in profondità. Nel corso di un precedente restauro, era stato steso un consolidante che aveva fissato lo sporco, formato soprattutto da polveri pesanti, all’interno dei cristalli del marmo; la rimozione del vecchio film resinoso è avvenuta con l’applicazione a tampone di acetone e con impacchi di polpa di cellulosa e di acetone.
Redazione Restituzioni