I due capitelli imposta in marmo rientrano a pieno titolo tra i manufatti più prestigiosi e noti di Ravenna. Li accomuna la datazione – entrambi realizzati nel VI secolo – l’esecuzione negli atelier di Costantinopoli e l’importazione a Ravenna per essere utilizzati come parte sostanziale della decorazione scultorea architettonica negli edifici di nuova costruzione o in fase di rinnovamento. Il capitello imposta è una tipica creazione dell’arte bizantina di Costantinopoli e la sua tipologia è detta ‘a imposta’ per la caratteristica forma a piramide tronca rovesciata, che riunisce i due elementi sovrapposti, capitello e pulvino, in un unico pezzo. Tale conformazione consente al capitello di assolvere alla funzione statica di raccordo fra la forma circolare della colonna e il peduccio dell’arco precedentemente attribuita al pulvino, a sostegno dei vasti archivolti caratteristici delle chiese bizantine. I primi esemplari compaiono nella prima metà del VI secolo all’interno della chiesa metropolitana di San Polieucto a Costantinopoli, per poi diffondersi nelle altre province dell’impero. Il costume di importare marmi da Bisanzio si instaura a Ravenna a partire dall’epoca placidiana e raggiunge il suo apice durante l’episcopato di Vittore (536-544); in questi anni la città assume un ruolo preminente rispetto alle altre sedi imperiali e si impegna in imprese architettoniche ambiziose che rispecchiano lo splendore di Costantinopoli. Le ragioni pratiche, come la difficoltà di reperire marmi in loco e l’assenza a Ravenna di scultori specializzati, rendono meno costoso e più agevole far arrivare via mare interi set di marmi decorativi. Giungono capitelli, transenne, basi e colonne non ‘di riutilizzo’, ma contraddistinti da motivi ornamentali alla moda eseguiti da raffinati artigiani della capitale d’Oriente.
Numerosi temi decorativi sassanidi con vegetali e animali si diffusero a Ravenna proprio tramite i manufatti realizzati a Costantinopoli, nei quali le consuete iconografie vennero rielaborate e innovate con l’affermarsi di una nuova ‘moda’ per tutto ciò che era orientale, che caratterizza l’arte della capitale all’inizio del VI secolo. Entrambi i capitelli imposta presentano un tipo di ornamentazione che segue principi decorativi di gusto esotico con un tema vegetale astratto, contenuto entro uno schema rigidamente geometrico. Le quattro facce trapezoidali sono intagliate ‘a giorno’ con il trapano, fino rendere la superficie simile a un merletto cristallizzato nel marmo che avvolge il fusto come una guaina, fino a farlo quasi scomparire. Il primo bellissimo capitello proviene dalla chiesa di San Michele in Africisco, dove fu probabilmente reimpiegato durante le significative ristrutturazioni occorse alla chiesa nel XV e XVI secolo, proveniente da un edificio sconosciuto. La chiesa, eretta intorno al 540 a spese e del banchiere Giuliano Argentario come ex voto, si richiamava, pur nelle dimensioni modeste consone a un luogo di devozione privata, all’architettura sacra della capitale, riprendendone lo schema planimetrico a forma ‘quadratica’ a tre navate con ardica e abside esterni. Fu soppressa come luogo di culto nel 1805 e poi alienata. A partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento iniziarono le spoliazioni dell’apparato musivo e la dispersione dei manufatti architettonico-decorativi interni. Il capitello imposta e i fusti di due colonne di marmo del Proconneso, poi reimpiegate nel 1889 nella facciata del palazzo di Teodorico sono tra i pochi pezzi superstiti pervenuti nel 1887 al Museo Nazionale. Ulteriore e raffinato esempio di manufatto d’importazione e il secondo capitello, rinvenuto nel 1980 durante i lavori per la nuova sede della Banca Popolare di Ravenna nell’area dell’antico Episcopio. Nella zona di scavo emersero i resti o di una torre medievale e i ruderi di un impianto termale, identificato dagli studiosi con i ≪Bagni del Clero≫, eretti a uso del clero ortodosso nel complesso dell’Episcopio annesso alla grandiosa cattedrale Ursiana. I Bagni furono rinnovati dal vescovo Vittore intorno alla meta del VI secolo e abbelliti alle pareti da mosaici su fondo oro, nonche da preziosissimi marmi quasi sicuramente di provenienza costantinopolitana. Il capitello imposta dell’Episcopio si presenta come un’altra delle numerose varianti formali con cui la categoria si propone. Sempre a facce poligonali, e l’unico esemplare presente a Ravenna della tipologia definita ≪con bande disposte a zig zag≫ bisolcate, che si intrecciano generando figure romboidali al centro di ogni faccia e degli spigoli. Pur mantenendo il motivo ornamentale stilizzato all’interno di uno schema geometrico secondo il gusto orientale, l’assenza negli spigoli di cornici che limitino il disegno all’interno delle facce quadrangolari, cosi il come toro costituito da un semplice anello, rendono la decorazione senza soluzione continuita. Se confrontato con il capitello imposta di San Michele in Africisco, questo secondo manufatto rivela un rivestimento decorativo ancora piu leggero, che appare quasi staccato dal fusto, in piena sintonia con le realizzazioni costantinopolitane del VI secolo. In particolare gli studiosi hanno sottolineato come il suo decoro ornamentale sia simile a quello presente nei capitelli da pilastro delle finestre delle gallerie e nei piccoli capitelli imposta in Santa Sofia a Costantinopoli. Il progetto Restituzioni 2016 ha offerto l’opportunita di evocare, attraverso il restauro dei due capitelli, la notorieta raggiunta da questi importanti oggetti d’arte bizantina e di riaccendere i riflettori sulla loro storia critica e artistica.
Conoscere le vicende legate alla conservazione del capitello di San Michele nell’arco degli oltre cent’anni dalla sua musealizzazione a oggi, ha indicato la via da intraprendere per la scelta metodologica applicata all’intervento conservativo. Cosi come le indagini chimicofisiche sulla materia di entrambi i manufatti hanno fornito ulteriori dati riguardanti la tipologia del marmo e le tracce dei materiali utilizzati nei precedenti restauri.
Emanuela Fiori