Sarebbe sicuramente affascinante poter ricostruire la storia degli straordinari oggetti custoditi nel Tesoro di San Marco. Molti di essi, con tutta probabilità, giunsero a Venezia dopo il 1204 nelle stive delle navi di ritorno da Costantinopoli, violentata e spogliata delle sue ricchezze durante la IV Crociata. Molti di questi oggetti però non erano stati prodotti a Costantinopoli, ma vi erano stati importati e venduti dai numerosi mercanti che affollavano quotidianamente quello che nel Medioevo era sia uno dei porti più importanti del Mediterraneo che il crocevia tra Oriente e Occidente.
Per i cristalli dei due candelieri si può cercare di ricostruire questa storia, attraverso gli inventari del Tesoro e le altre fonti documentarie. Negli inventari veneziani i due oggetti sono elencati ab antiquo, e prima di arrivare a Bisanzio potrebbero aver fatto parte della favolosa collezione dei fatimidi, in gran parte venduta sui mercati del Mediterraneo al tempo del califfato di al-Munstansir, tra 1061 e 1069. I cristalli di rocca egiziani erano molto apprezzati e ricercati e la loro presenza è attestata nelle regge e nelle chiese d’Europa già agli inizi dell’XI secolo. Ne furono centri di diffusione le corti della Spagna musulmana, della Sicilia e di Bisanzio.
I due cristalli di rocca, montati sullo stelo di due candelieri d’argento degli inizi del XVI secolo, presentano forma analoga. Scolpiti e intagliati in un unico blocco, si compongono di una parte inferiore a forma di pomo schiacciato e di una parte superiore allungata, a forma di balaustro. Entrambi sono percorsi da un foro circolare, del diametro di circa 2 cm, nel quale è inserito lo stelo del candeliere. Gli intagli interessano l’intera superficie dei cristalli, con motivi analoghi sui due esemplari, più stilizzati nel secondo.
Alcune differenze nel decoro hanno portato alcuni studiosi a datare diversamente i due oggetti. Dal punto di vista stilistico è opinione diffusa che la produzione islamica di cristalli intagliati si ispirasse alle forme dell’arte sassanide e avesse origine in Iraq, al tempo dei primi califfi abbasidi. Forse al seguito della migrazione di alcuni artigiani mesopotamici, la produzione conobbe un rigoglioso sviluppo al Cairo all’epoca dei tulunidi (868-904 d.C.) e dei fatimidi (969-1171), dove il repertorio figurativo si arricchì nei motivi fitomorfi e zoomorfi. Proprio il confronto con le palmette e mezze palmette dei manufatti fatimidi ha suggerito di anticipare la datazione del primo cristallo al terzo quarto del IX secolo e quella del secondo tra la fine del IX – inizi del X secolo. Altri propongono datazioni più tarde e collocano la produzione in Sicilia anziché in Egitto, avvicinando i cristalli ad altri prodotti realizzati su imitazione dell’artigianato fatimida.
Decisamente meno interesse hanno suscitato negli studiosi le montature d’argento, sulle quali è tuttavia significativa la presenza di differenti punzoni e segni incisi: il bollo di Stato, il leone di San Marco in moleca, apposto dalla Zecca a garanzia della bontà della lega, il monogramma ‘A B S’ del sazador, ovvero il funzionario che agiva per conto della Zecca saggiando piccole quantità di metallo, i segni stessi lasciati nel punto del prelievo per il saggio, oltre ad altri segni di cui al momento si ignora il significato.
Prima del restauro, i candelabri si presentavano danneggiati in vari punti, con ampie tracce di attacchi corrosivi, un velo di cloruri d’argento su ampie aree, estesi gocciolamenti di cera e depositi di polveri abrasive. Smontati, le parti in argento sono state pulite a tampone, con l’impiego di alcool e bicarbonato di sodio, mentre i cristalli sono stati puliti dai depositi e dalla sporcizia con lavaggi di acqua distillata e tensioattivo.
Redazione Restituzioni