Conservato all’interno del convento vallombrosano di Santa Trinita a Firenze, questo Crocifisso è giunto a noi in condizioni globalmente critiche sia a livello strutturale sia pittorico, tali da richiedere un delicato restauro. Realizzato in legno di pioppo, presenta il caratteristico ancoraggio delle braccia alle spalle che ne permette la rotazione dalla posizione aperta, inchiodata “a croce”, alla disposizione lungo il corpo, utilizzata in occasione dei riti della Settimana Santa, quando veniva rievocato il sacro gesto della deposizione del corpo di Cristo dalla croce al sepolcro, secondo un antichissimo rituale in uso fino ai tempi del concilio di Trento. Il Cristo crocifisso è rappresentato nel momento dell’esalazione dell’ultimo respiro, l’addome mostra una caratteristica contrazione che si accompagna a uno scarto verso sinistra delle gambe, creando un certo contrasto col volto composto, quasi rasserenato nell’abbandono alla morte.
L’opera è nota alla critica che, dopo un primo riferimento alla produzione di Baccio da Montelupo, la collega unanimemente alla produzione dei Sangallo, che divisero assieme alle botteghe dei Da Maiano, Del Tasso e di Baccio da Montelupo la migliore produzione di scultura lignea a Firenze fra Quattro e Cinquecento. Datato, così, tra la fine del Quattrocento e i primi del successivo, il Crocifisso è stato considerato, per alcune incertezze formali soprattutto evidenti nello squilibrio proporzionale fra le braccia e il corpo, un prodotto della bottega, alternativamente sotto la guida di Giuliano o Antonio.
Gli ultimi studi sull’argomento e le risultanze del restauro effettuato farebbero propendere a considerare il Crocifisso di Santa Trinita come una precoce produzione di Antonio insieme alla bottega di Giuliano nei primi anni ottanta del Quattrocento, ben prima che le forme dei Crocifissi sangalleschi giganteggiassero in eroiche rappresentazioni.