In mancanza di una precisa e affidabile documentazione storica che permetta di stabilire datazione e provenienza di una determinata opera, è l’analisi stilistica e tecnica che può consentire di avanzare ipotesi attributive. Così si è dovuto procedere per il Crocifisso in oggetto, che è stato sottoposto ad un esame approfondito di tutte le caratteristiche compositive. Elemento fondamentale dell’opera è l’estremo, anche esasperato, realismo: mediante fili sottili di spago incollati direttamente sul legno si giunge a tracciare il sistema venoso superficiale del corpo del Cristo; con una spessa corda di canapa, preparata con gesso e colla dipinta si evidenzia il sangue che fluisce copioso dalla ferita al costato; lembi di stoffa, accartocciati e dipinti, riproducono gli squarci nella carne prodotti dalla lancia al fianco e dal chiodo al piede sinistro; i capelli e la barba, di cui rimane solo qualche traccia, erano originariamente realizzati con ciuffi di crine o di altro tipo di pelo di animale. La tensione drammatica si esprime infine nella ricerca della parola: entro un ampio foro di circa 10 cm di diametro realizzato sulla calotta cranica è inserita una lingua mobile in legno dipinto che giunge a lambire dall’interno le labbra del Cristo. Il movimento era probabilmente ottenuto mediante una corda azionata dal basso e passante per un altro foro posto verso la zona occipitale della testa. Si tratta di un particolare di grande interesse storico-artistico che insieme agli altri elementi cruenti e drammatici fa supporre che a commissionare l’opera sia stata la confraternita dei Disciplini, la cui presenza nell’ambito della chiesa del Carmine è attestata fin dal XV secolo. Gli aderenti alla confraternita usavano svolgere i loro esercizi penitenziali di fronte a immagini di forte coinvolgimento emotivo, capaci di stimolare le pratiche di espiazione.
Si conoscono due altri crocifissi che utilizzano lo stesso meccanismo per fingere la parola: quello del Museo della Città di Rimini, attribuito a scultore tedesco noto come «Johannes Teutonicus»; e quello monumentale del Duomo di Salò, commissionato nel 1449 all’intagliatore tedesco «Johannes» dal comune. Pur di qualità molto inferiore rispetto ai due citati, il Crocifisso in oggetto evidenzia analogie esecutive che permettono di ipotizzare un autore di area tedesca, o comunque fortemente influenzato dalle tecniche esecutive tipiche di quell’area. Sembra plausibile avanzare una datazione intorno al sesto decennio del secolo XV, non lontano dalla promulgazione della regola della Confraternita dei Disciplini nella chiesa del Carmine (1453).
L’intervento di restauro, preceduto dalle consuete analisi microstratigrafiche, è stato indirizzato al risanamento del legno e alla rimozione dei diversi strati di ridipintura, che risultavano in cattivo stato di conservazione. Le ridipinture (in alcuni punti addirittura cinque strati) sono state asportate a secco, tramite l’azione meccanica del bisturi. Dopo la stesura di un leggero film protettivo si è proceduto alle integrazioni cromatiche, che si sono limitate all’abbassamento tonale dei punti di abrasione della pellicola pittorica. La croce non è originale.
Redazione Restituzioni