L’opera fa parte del lascito testamentario del cardinale Francesco Acquaviva d’Aragona, che alla sua morte (1725) lasciò alla cappella del Tesoro di San Gennaro otto magnifici pezzi in cristallo di rocca di diversa epoca e manifattura: la croce, sei candelieri settecenteschi e un ostensorio del XVII secolo poi trasformato in reliquiario.
Sinora ignorata dalla critica, la croce – capolavoro della glittica tardomanierista databile tra la fine del XVI secolo e i primi decenni di quello successivo – è opera di maestranze lombarde, che vantavano una particolare perizia nella lavorazione del minerale; è però impossibile stabilire se essa sia stata lavorata a Napoli – città natale del donatore, dove pure è attestata la presenza di artisti lombardi che lavoravano il minerale – o altrove. Essa è confrontabile con un gruppo di croci, alcune delle quali reliquiarie: due conservate alla chiesa del Gesù di Casa Professa a Palermo, entrambe databili tra il 1619 e il 1624; una alla Schatzkammer di Vienna, databile intorno al 1600; una alla Grüne Gewölbe di Dresda, datata intorno al 1580; un’ultima infine, meno raffinata nella tecnica di lavorazione, già in collezione Brummer.
Oggetto di ripetuti interventi di restauro sin dalla fine del XVIII secolo, la croce si presentava in un generale stato di dissesto causato sia dal peso stesso del minerale – che ha determinato pressioni e spinte sulle legature metalliche – sia dalla perdita di tenuta dei collanti. Le ripetute e improprie sollecitazioni cui l’opera – delicatissima – è stata sottoposta hanno causato notevoli danni al cristallo, che si presentava interessato da lacune, lesioni, fessurazioni e distacchi. Il restauro appena concluso, oltre a riposizionare correttamente e con materiali idonei l’elemento gigliato del braccio sinistro della croce (spezzatosi in epoca imprecisata e malamente riattaccato con una linguetta d’argento e fili metallici saldati), ha ripristinato il sistema originario di aggancio della croce alla base con un perno passante. Tutte le parti metalliche sono state sottoposte a un intervento di pulitura che ha riportato alla luce la doratura originaria a mercurio, generalmente in discreto stato di conservazione. Asportati tutti i residui grassi dal minerale, si è infine proceduto a incollare le due lance di cristallo che prima dell’intervento erano staccate, restituendo al manufatto il suo originario equilibrio tra le parti decorative.
Laura Giusti