La croce astile, rinvenuta casualmente nel 2009 nella casa canonica della parrocchia di Maria Vergine Assunta di Acceglio in Valle Maira e oggi custodita nel Museo d’Arte Sacra della stessa località, si trovava in pessime condizioni conservative: l’oggetto liturgico, da lungo tempo privato della sua funzione, presentava una massiccia scomparsa dell’argentatura, considerevoli tracce di ossidazione e saldature pregresse malamente eseguite, nonché la perdita di numerosi elementi decorativi che dovevano alloggiare nei fori visibili sulla fronte e sul retro. L’intervento di restauro (pulitura e consolidamento) ha permesso di ridare adeguata sistemazione e corretta lettura all’opera.
La croce presenta una struttura a bracci tubolari spiraliformi, aventi le estremità superiori che si concludono con una sfera fogliata; il nodo di raccordo è piuttosto schiacciato, decorato da nervature che disegnano campi baccellati e, lungo la circonferenza, da bottoni in smalto (tre superstiti di sei) raffiguranti profili maschili.
La materia costitutiva è l’ottone, forgiato con differenti tecniche: questo metallo, meno costoso dell’argento, era largamente usato nella produzione delle suppellettili ecclesiastiche in quanto, una volta argentato e dorato, poteva assomigliare ai metalli più nobili garantendo un’immagine di preziosità e di gioco cromatico, accentuato dalla presenza degli smalti. Dei molti particolari decorativi sopravvivono soltanto la figura della Vergine, quelle degli evangelisti Luca e Marco e una raffigurazione del leone, simbolo di Marco. La mancanza di iscrizioni e documenti non permette di ascrivere l’opera a una bottega precisa – dato per altro difficile da identificare per una produzione seriale affidata a differenti specializzazioni, spesso anonime –, ma l’analisi stilistica e il confronto con analoghi manufatti conservati nel Saluzzese, nel Delfinato, in Valle d’Aosta e, più genericamente in area francese riconducono la croce a una produzione nordica fra Quattrocento e Cinquecento che, partendo dagli esempi delle dinanderies colte e raffinate delle Fiandre, rappresenta una koinè figurativa territorialmente assai estesa in quegli anni e che si inserisce nell’ampia rete degli scambi culturali del tardogotico alpino.
Valeria Moratti
Foto Paolo Robino